di Gaetano Gorgoni
TORRE CHIANCA (MARINA DI LECCE) – Maria Teresa Capoccia è una donna ormai anziana, ma in ottime condizioni di salute: con il suo bar “La Torre” (a pochi passi da un’antica torre di avvistamento) è l’unico vero presidio di questa lunga fascia di mare leccese, totalmente priva di lidi, dove la vita trascorre lentamente e il fruscio del mare è un suono costante: tutto il resto è silenzioso, soprattutto nell’ora di pranzo. Solo il mare parla. In pochi hanno voglia di rispolverare l’incubo del bambino di tre anni a cui il più orrendo dei mostri ha strappato via la vita a soli 3 anni. Maria Teresa mossa da una fede incrollabile ha vissuto tutta la vita per i figli e per il lavoro nel suo bar, ma quell’incubo ha segnato anche la sua vita.
“A me non piace molto apparire – ci spiega seduta nel cortile del suo bar che dà sul mare e ci vieta di inquadrarla mentre registriamo l’intervista – Ho cercato di dare una mano per risolvere questo caso appellandomi solo la mia coscienza. Non ho paura di parlare e di dire tutto quello che so. Ho aperto un bar con mia sorella 38 anni fa e quella storia rischiò di farci chiudere, perché per due anni da qui non passava più nessuno: avevano tutti paura”.
Cosa ricorda di quel giorno?
“Era Santa Maria, io mio onomastico Era un giorno come tutti gli altri, quando la stagione volge al termine. Era il 12 settembre del 1992, tra le 13 e le 14, ora di pranzo: chi non abita qui tutto l’anno va via agli inizi di settembre. Torre Chianca era semideserta e a un certo punto mi sono vista un signore davanti che mi chiedeva se avessi visto suo figlio, che aveva 3 anni. Io gli risposi che non avevo visto nessun bambino e lui mi disse che lo stavano cercando. Ho chiesto come avessero fatto a perderlo e lui mi rispose che era sparito da casa”.
Anche questo è un mistero: c’era una villa di fronte alla casa del bambino, con i proprietari che erano all’interno, ma c’erano altre villette disseminate lungo la via prima di arrivare in spiaggia, con altre persone dentro…Come ha fatto il mostro a non farsi vedere da nessuno, almeno nella fase del ritorno o mentre si aggirava nei paraggi?
“Sì, infatti è strano che nessuno si sia accorto di niente. Forse è stato fortunato…Comunque, io proposi al padre di metterci tutti alla ricerca del bambino è incaricai i miei nipoti, quelli di 12 anni, di andare in giro per vedere di trovare qualcosa. I ragazzi cominciarono a girare in bicicletta per la zona e il padre di Daniele si mise a cercare in altri punti. In pochi minuti tutta la zona si mise in allarme e il padre proseguì le sue ricerche”.
Dunque, è possibile che tutte queste persone alla ricerca del piccolo abbiano potuto incrociare per caso l’assassino…
“Nessuno ha dato informazioni utili in questo senso. Io mi ricordo che a un certo punto venne un ragazzino, un dodicenne. Mi disse: ‘Signora Maria, Signora Maria, i bambini tuoi sono qui?’. ‘Sì, cosa è successo?’ – gli dissi. ‘No, è che sulla spiaggia mi è sembrato di vedere un bambolotto o un bambino, non so distinguere. È sul bagnasciuga e ha una maglietta gialla e rossa’. Il padre mi aveva detto com’era vestito e allora io dissi: ‘O Dio, allora è il bambino di quel signore!’. Mentre mi raccontava queste cose, la voce era arrivata a diverse persone che si sono recate sul posto e hanno chiamato i soccorsi. Andò anche mia madre a prestare soccorso. Fecero la respirazione bocca a bocca, anche un vigile del fuoco”.
Si capiva quanto tempo il bambino fosse lì agonizzante?
“Questo non è stato mai chiarito: quando sono arrivati i soccorsi, il bambino era ancora vivo. Hanno provato a tenerlo in vita anche in ospedale. A un certo punto si sono fermate tutte le notizie, quindi ho chiamato l’ospedale per sapere qualcosa e l’operatore chiese tutti i miei dati e di contattarmi senza dirmi nulla. Poco dopo si diffuse la voce che il ragazzo era stato violentato…”(la signora si ferma commossa ndr).
…E soffocato nella sabbia in modo tale che non potesse urlare…
“Dopo quel giorno, il vuoto. Nessuno riusciva a spiegarsi come un mostro potesse essere passato o addirittura potesse abitare una zona da sempre così tranquilla”.
Ma questa storia del turista di passaggio regge?
“Torre Chianca all’epoca non era frequentata da molti turisti: era quasi tutta gente del posto. Nessuno riesce ancora a capire da dove sia sbucato fuori l’orco. Questa era una zona molto riservata e chiusa, difficilmente vedevamo qualche turista”.
Certo, già oggi se ne vedono pochi da queste parti, figuriamoci nel settembre del ’92…
“I miei figli sono cresciuti liberi: conoscono il mare, la spiaggia, le persone e non hanno mai avuto un problema di questo tipo”.
E se il mostro di Torre Chianca fosse venuto da Lecce? Se avesse già adocchiato Daniele prima?
“Ci sono tante domande senza risposta. Io sono stata intervistata anche della Rai su questa vicenda perché qui sono come un presidio: il mio bar è sempre aperto. Hanno accusato un ragazzo che non c’entrava niente. Si sono concentrati su due soggetti che erano innocenti. Se la sono presa soprattutto con un ragazzo normale, solo un po’ più sfortunato degli altri. Le indagini si concentrarono su un personaggio che aveva modi di fare diversi per una sua disabilità e gli rovinarono la vita pur essendo innocente. Lui era amico di tutti. Ha avuto a che fare con i miei figli, con i miei nipoti e non è successo mai nulla. Eppure le indagini si sono concentrate su di lui, perché era diverso, aveva un leggero ritardo. In realtà era un angelo, che faceva da babysitter anche le mie figlie. E io mi potevo permettere di accusare un innocente per chiudere le indagini?”.
Ora quest’uomo che è stato accusato che fa?
“Il padre che non sta bene, la madre che è morta e lui non lavora. Quella storia gli ha rovinato la vita senza che lui c’entrasse nulla. Per fortuna sono benestanti, ma quella storia è stata terribile per lui”.
Qualcuno, con una chiamata anonima, accuso proprio lui…
“Lui era innocente, come era innocente quel povero ragazzo di 12 anni che trovò il cadavere. Questi ragazzi sono rimasti traumatizzati a vita anche se l’esame del DNA li ha scagionati”.
Però è anche vero che, addirittura, a distanza di 27 anni, in molti fanno tanta fatica parlarne…
“Questo è vero. Gli investigatori che vennero a casa mia per interrogarmi mi dissero testuali parole: ‘Se fossero stati tutti come lei, così tranquilli nel parlare, lo avremmo trovato subito'”.
Anche la madre del piccolo Daniele fece un appello: ‘Chi sa parli!’. Ma non parlò nessuno…
“Poche testimonianze, alcune confuse e contraddittorie”.
Ha ancora dei rapporti con i genitori di Daniele Gravili?
“Siamo amici. Conobbi la madre durante un’intervista al Circeo dove c’era Cataldo Motta ed allora diventammo amiche. Credo che quella ferita non si chiuderà mai, anche se subito dopo hanno avuto una bambina, che ora ha 26 anni. Loro sono due brave persone di Lecce, che qui venivano in vacanza. Da allora non tornarono mai più a Torre Chianca”.
Anche se c’era poca gente tra le 13 e le 14 di mattina, tante case nelle vie percorse dal mostro erano abitate: possibile che nessuno abbia visto? Possibile che il mostro sia stato così fortunato?
“Io sono stato intervistata dalla Rai tante volte e non mi sono mai tirata indietro, magari se qualcun altro avesse parlato, così come ho parlato io, forse gli investigatori avrebbero avuto qualche ulteriore elemento da valutare”.
Noi abbiamo provato a fare qualche domanda ma la gente era spaventata, schiva, soprattutto gli anziani.
“Eppure, dire la verità non costa niente, se uno ha la coscienza a posto”.
Anche la testimonianza del dodicenne e poco chiara, quando dice che si spaventa di un signore.
“La via dove abitava il bambino era abitata anche d’inverno: forse bisognerebbe ripartire da lì, provare a capire se qualcuno ricorda qualcosa. C’erano tante persone che in quel periodo erano sempre a mare: magari potrebbero ricordarsi qualche movimento sospetto come accaduto per la ragazza che a distanza di anni ha ricordato una macchina bianca che sfrecciava”.
Forse c’è la paura di finire ingiustamente nella rete dei sospetti e allora non si parla?
“Nel tempo ti passa quella paura. Se hai la mente lucida, ricordi anche i particolari”.
Come avete vissuto questo enorme dramma di una comunità che fino a quel momento non aveva conosciuto nulla di così grave e violento?
“Sono una persona che si affida molto alla fede, altrimenti il mio locale sarebbe chiuso: abbiamo passato due anni terribili dopo la tragedia. Tutti avevano paura di passare da queste parti. Commercialmente abbiamo subito una botta durissima: la gente aveva paura e non veniva al mare. Certo, avrei chiuso volentieri locale se in cambio ci fosse stata la possibilità di trovare il colpevole”.
Secondo lei, dove si nasconde il mostro di Torre Chianca? Sarà ancora vivo?
“Se fossi un magistrato, riascolterei tutti, partendo dalla zona dove avvenne il rapimento e poi l’omicidio. Andrei a bussare alle porte di tutti, cominciando da me”.
Certo, se c’è una possibilità che il mostro o chi non vuol parlare si nasconda in una comunità, è sempre meglio ricordare il nome di Daniele Gravili per tenerlo sulle spine fino alla sua morte.
“Ricomincerei dai residenti: tutti, nessuno escluso, magari potrebbe riemergere qualche nuovo particolare”.
Ho l’impressione che la comunità voglia dimenticare questo brutto incubo, che però è reale. C’è un mostro che non è stato assicurato alla legge e non sappiamo che fine abbia fatto…
“Non abbiamo messo una lapide dove è morto perché c’è il mare. Abbiamo fatto una fiaccolata il primo anno con la parrocchia di San Salvatore. Ma i genitori non vennero: il dolore era enorme”.
Puoi però lei si è sentita sempre con i genitori, vero?
“Ci siamo sentiti sempre per diverso tempo, poi ci siamo allontanati per il lavoro e per tutte le cose della vita. Per un periodo siamo state molto vicine a quella famiglia, insieme a mia sorella, e ci siamo legate molto. C’era un rapporto di amicizia sincera tanto che poi la famiglia Gravini ci ha invitate anche al battesimo della loro bambina, che era ristrettissimo”.
All’inizio delle indagini si è pensato a un minorato mentale ma in realtà non era facile condurre il bambino fino alla spiaggia inosservato.
“Chiacchiere supposizioni se ne sono fatte tante: in realtà avrebbero dovuto rivoltare tutta la città come un calzino. Bisognava andare ‘casa – casa’: qualche particolare sarebbe spuntato fuori”.
Forse all’inizio delle indagini sbagliarono pista e si accanirono su chi era innocente, vero?
“Una telefonata anonima sviò le indagini, accusando chi non c’entrava nulla. Così si sono fossilizzati, proprio nel tempo che serviva per percorrere più piste, solo sulla pista più semplice. Il tempo è oro in queste indagini e se n’è perso troppo per indagare chi non era colpevole… e la sabbia ha coperto tutto”.
Forse pensavano che fosse un caso semplice. In questi casi si deve bloccare l’intero paese, dare un’occhiata alle partenze, agli alberghi…Ma forse, semplicemente, non furono fortunati, pur possedendo il DNA dello stupratore – assassino grazie alle tracce di sperma che aveva lasciato…
“Secondo me, ancora è possibile trovare il mostro: ci sono stati grandi progressi in campo investigativo. Si può ancora trovare il colpevole, insieme a tutte le persone di buona volontà”.
Certo, anche il più infame reato di mafia, come quello dell’assassinio della piccola Angelica Pirtoli, può venire a galla dopo decenni grazie ai testimoni. Ma in questo caso, se l’orco è stato così fortunato da non farsi vedere da nessuno, sarà difficile scoprire la verità…
“Ma c’è il DNA. C’è l’identità del mostro in quelle tracce…Nel ‘92 avevano in mano l’oro: la soluzione del caso. Bisognava passare in rassegna tutti gli abitanti”.
Su 19 esami del DNA nessuno era l’assassino…
“Avrebbero dovuto farne 1900 almeno: certo, riconosco che gli investigatori non sono stati fortunati. I magistrati hanno fatto il loro dovere: hanno rispettato la legge e le procedure. Si sono scontrati contro troppi silenzi. Ma io mi sarei ostinata di più”.
Certo, non è facile fare l’esame del DNA senza particolari elementi…
“Nel ‘92 successe un caso simile a Roma. Sospettammo che ci potessero essere dei collegamenti, ma, a quanto pare, non c’erano. Comunque, c’erano tanti elementi utili per risolvere il caso: anche un particolare tipo di caramelle che il mostro aveva utilizzato per attirare il piccolo (ne trovarono una nello stomaco del piccolo e una carta lungo il percorso). Delle ‘caramelle mou’ che si usavano in quegli anni e che qui vendono solo in un esercizio, ma non nel mio. Le vendeva la salumeria Rizzo, vicino Paradiso. All’epoca si davano quando non c’erano le 5 lire di resto. Il bambino è stato preso e portato via dal cortile della piccola villetta. Il cancello è stato aperto”.
Qualcuno dei vicini sostiene che il cancello non fosse proprio chiuso, ma socchiuso, ma si tratta di ricordi che non possono essere certi…Qualcuno poteva conoscere già quel bambino? Non sono strade in cui si passa così tanto casualmente…
“Non c’è una risposta. I genitori stavano smontando la bombola del gas stavano portando tutto via. Stavano facendo il classico trasloco mentre il bambino giocava con la bici nel cortile. Mi sembra di ricordare che dissero che il cancello era chiuso e che stavano caricando le cose nella macchina. È stato solo un attimo, un momento fatale”.
Qualcuno era lì in agguato? In mezzo a una strada piena di villette in cui chiunque avrebbe potuto vederlo…Il caso ha voluto che nessuno lo incontrasse? Eppure, quella faccia da pedofilo e assassino ha dovuto incrociare tante altre facce prima di compiere il più immondo dei gesti. Violentare e soffocare nella sabbia un angelo.
Silenzio. Si sente il mare in sottofondo. Eppure, questo sembra un piccolo paradiso accarezzato dal vento, se non fosse per quest’aria marcia di angoscia e mistero. Ci congediamo con l’anima squassata.
Gaetano Gorgoni
ggorgoni@libero.it
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