NARDO’ (Lecce) – Questa sera la Sala Roma di piazza Pio XI, a Nardò, ospiterà “Voci che combattono il silenzio”, un incontro-dibattito organizzato dalla presidenza del Consiglio comunale sul tema complesso della violenza di genere. L’appuntamento è fissato alle 18.30 (ingresso libero). Dopo i saluti del sindaco Pippi Mellone e l’introduzione del presidente del Consiglio Andrea Giuranna, interverranno il procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Lecce Elsa Valeria Mignone, il presidente distrettuale dell’Anm Maurizio Saso, il dirigente del Pronto Soccorso del “Fazzi” di Lecce Silvano Fracella e l’operatrice del Centro Antiviolenza “Il Melograno” Enza Miceli. Accompagneranno gli interventi, le letture di alcuni scritti di Renata Fonte.
La riflessione verterà sul tema generale della violenza sulle donne, sulla tutela normativa delle vittime di violenza (non solo fisica), su testimonianze e casi concreti di violenza, sulle strategie dell’ascolto e più in generale della protezione delle vittime. Non a caso l’incontro avviene quasi in coincidenza con il 35esimo anniversario della morte di Renata Fonte, simbolo di una donna che a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ‘80 aveva colmato il “gap” sociale, professionale e politico con il genere maschile e il cui sacrificio oggi è una ragione per tante donne che lottano contro ogni genere di violenza e contro ogni tentativo di sopraffazione.
“La violenza di genere è una forma di regressione culturale della nostra società – spiega Andrea Giuranna – e con questo appuntamento abbiamo voluto affrontare il tema, certamente molto complesso, non solo dal punto di vista sociale, ma anche normativo e degli strumenti di difesa delle vittime di violenza. Che, non dimentichiamo, è quella che provoca un danno o una sofferenza fisica, sessuale e anche psicologica. Cercheremo grazie agli interventi di ospiti illustri e assolutamente qualificati, di capire cosa succede alle vittime di violenza, che sia anche solo un gesto persecutorio o una minaccia, e cosa si può fare per proteggere le donne e per rompere il silenzio che spesso le circonda”.
MARTANO (Lecce) – Utilizzavano un cellulare rubato in paese durante un furto compiuto alcune settimane fa e, per questo motivo, sono stati entrambi denunciati a piede libero con l’accusa di ricettazione.
Si tratta di un giovane di 19 anni e di un uomo di 63, entrambi di Melendugno, deferiti in stato di libertà dai carabinieri della stazione di Martano.
I militari, al termine di rapide indagini, hanno infatti raccolto degli elementi di colpevolezza a carico dei due, in merito al possesso e all’utilizzo di uno smartphone Samsung, del valore di 200 euro, risultato rubato lo scorso 6 febbraio a Martano.
LECCE – Rimangono in silenzio nell’interrogatorio di garanzia i presunti capi ed esponenti del clan “Caracciolo” di Monteroni smantellato con un blitz all’alba di mercoledì. In giornata, davanti al gip Carlo Cazzella, sono comparsi nel carcere di Lecce le 13 persone finite in carcere. Una scelta, quella di non rispondere alle domande, prevista dal codice di procedura penale e presumibilmente attuata per consentire agli avvocati di acquisire l’intero carteggio a corredo dell’ordinanza. Scena muta, dunque, per il presunto boss Alessandro Caracciolo, detto “Frasola”, 36 anni di Monteroni; la moglie Maria Antonietta Montenegro, 50 anni, di Monteroni; la figlia Simona Caracciolo, di 26 e il genero Mirco Burroni, 26 anni, di San Cesario. Stessa scelta adottata dai fidati collaboratori: Angelo Calcagnile, 44 anni, di Leverano; Antonio Cordella, 33 anni, di Leverano; Alessandro Iacono, 36 anni, di Monteroni; Cristian Nestola, 34 anni, di Leverano; Andrea Quarta, detto “Bisca”, 37 anni, di Leverano e Piergiorgio De Donno, 33 anni, di Porto Cesareo; Salvatore Conte, 52 anni, di Leverano; Michele Antonio Ricchello, 43 anni, di Alliste; Massimiliano Lorenzo, 42 anni, di Monteroni. È rimasto in silenzio anche Andrea Ricchello, 32 anni, di Monteroni, sdentito al quinto piano del Palazzo di Giustizia perché confinato ai domiciliari.
Le indagini, coordinate dalla Procura antimafia e condotte dai militari del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, sono state avviate nel 2015 con un altro obiettivo: bloccare uno dei canali di importazione dello stupefacente dall’Albania. Da qui anche il nome dell’indagine “Battleship”, battaglia navale. Tutto comincia, infatti, dalla localizzazione di un gommone ormeggiato nel porticciolo di Torre San Giovanni. Si scopre che il mezzo è stato utilizzato per il trasporto di carichi di droga acquistati in Albania. Monitorando gli spostamenti del gommone e verificando i tabulati telefonici, i finanzieri individuano i trafficanti albanesi e documentano il coinvolgimento di un gruppo di salentini.
Scavando, i finanzieri hanno scoperto ulteriori ramificazioni e i rapporti con il clan Caracciolo. Sono stati ricostruiti i metodi, sempre gli stessi: minacce di morte, pestaggi, il “punto” sullo spaccio; imposizione del servizio di guardiania; intimidazioni. Con due singolarità. La prima riguarda i manifesti funebri affissi a Leverano per minacciare un presunto delatore. La seconda è relativa all’interesse del boss per risolvere la contesa tra due squadre di calcio in merito alla riscossione del “premio alla carriera” di un calciatore finito in serie A.
Il presunto boss è un pezzo da novanta. Alessandro Caracciolo, infatti, è fratello di Antonella, moglie storico boss della Sacra Corona Unita, nome che riconduce agli albori della quarta mafia. Dopo l’omicidio di Antonio Dodaro, il capo designato per la provincia di Lecce dal fondatore dell’organizzazione Giuseppe Rogoli, si erano creati due schieramenti guidati dai Tornese di Monteroni e da Gianni De Tommasi di Campi salentina. Caracciolo, di recente, si era svincolato dai Tornese. Non sarebbe stata una scissione pacifica. Ci sarebbero stati contrasti sempre più crescenti.
Ma alla fine Caracciolo sarebbe riuscito a mettere le mani su un’ampia fetta di territorio tra Monteroni, Leverano e Porto Cesareo. I fatti contestati, come detto, risalgono al 2015. Ma recenti informative e il sequestro di due pistole con munizionamento nel corso dell’esecuzione degli arresti, confermerebbero l’attuale operatività del gruppo. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Angelo Vetrugno; Cosimo D’Agostino; Ladislao Massari; Giuseppe Romano; Massimo Bellini; Stefano Pati e Luca Puce.
LECCE – Importavano armi clandestine dal Montenegro fino al Salento. Pistole, armi camuffate da penna e vario munizionamento, che venivano importati clandestinamente nel territorio nazionale, finendo poi nelle mani della criminalità organizzata e non. Due uomini nati a Lecce ma di origine montenegrina, di 44 e 25 anni, sono stati fermati all’alba dai finanzieri del Gico ed accompagnati in carcere. Un terzo uomo, di Galatina, invece, fu arrestato in flagranza nel novembre scorso al porto di Bari, perché – di rientro dal Montenegro – fu sorpreso con un carico di armi nascoste nel serbatoio della vettura.
È il bilancio dell’operazione “Bulldozer” portata a termine dai finanzieri del comando provinciale di Lecce, con la collaborazione delle unità aeree del Roan di Bari, che hanno stroncato un traffico internazionale di armi (anche da guerra), fermando due cittadini di etnia rom residenti nel campo “Panareo”, in esecuzione del decreto di fermo per indiziato di delitto emesso dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce.
Le indagini, condotte dal Gico del Nucleo di polizia-economico finanziaria della Guardia di finanza di Lecce, sono state avviate proprio in seguito all’arresto nel porto di Bari di un ventitreenne di Galatina che, nel novembre del 2018, fu fermato col carico di armi nascosto in auto.
L’azione investigativa delle Fiamme Gialle salentine, in pochi mesi, ha permesso una minuziosa ricostruzione delle modalità di importazione delle armi, nonché l’individuazione nei due montenegrini dei loro committenti.
Secondo modalità tipiche già in uso alla criminalità organizzata, i due si erano impegnati a farsi carico delle spese legali sostenute dal salentino che era stato arrestato per il trasporto delle armi, corrispondendo un aiuto economico alla sua famiglia.
I gravi indizi di reato, in breve tempo raccolti nel corso delle indagini dalla Guardia di Finanza di Lecce, hanno delineato un chiaro quadro probatorio che ha indotto la Direzione Distrettuale di Lecce a disporre l’immediato fermo a carico dei due cittadini di etnia Rom, entrambi accompagnati in carcere.
In occasione dell’esecuzione dei fermi, al fine di scongiurare l’eventuale disponibilità di ulteriori armi, le fiamme gialle leccesi, unitamente ai Baschi Verdi della Compagnia di Lecce e con l’ausilio di elicotteri del Roan di Bari, hanno eseguito una serie di perquisizioni anche presso il campo nomadi “Panareo”, ubicato a Lecce, lungo la Strada Statale 7-ter Lecce/Campi Salentina.
Le indagini sono in corso per verificare se le armi sequestrate fossero destinate alla criminalità organizzata salentina. I due sono difesi dall’avvocato Benedetto Scippa.
LECCE – I carabinieri rispondono al telefonino perso dai ladri durante un furto e, fingendosi turisti, riescono a farsi dire il nome di uno dei due malviventi, acciuffandolo insieme al complice. Nei guai, con l’accusa di furto in appartamento, sono finiti due leccesi di 55 anni – Fabio Martucci e Paolo Olimpo – entrambi già noti e con precedenti specifici, arrestati dai carabinieri della stazione di Soleto e dai colleghi delle Compagnie di Maglie e Lecce, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei loro confronti dal gip del Tribunale di Lecce.
I fatti di cui sono accusati i due leccesi risalgono al 16 ottobre 2018, quando un agente della polizia municipale di Zollino notò i due uomini aggirarsi con fare sospetto per le strade del paese, decidendo poi di fermarli per un controllo.
Durante l’accertamento, però, uno dei due fermati riuscì a sfilarsi il giubbotto e a divincolarsi, abbandonando sul posto un borsone contenente svariati monili in oro e 2700 euro, nonché passamontagna ed arnesi da scasso, che erano stati rubati poco prima dall’abitazione di un’ignara pensionata del posto.
Le immediate ricerche dei carabinieri consentirono di rinvenire nelle vicinanze la Ford Focus a bordo della quale i due topi d’appartamento erano stati visti aggirarsi nella zona, all’interno della quale trovarono la patente di uno dei due leccesi ed un cellulare, con una sim intestata ad un nigeriano.
I militari, alla “caccia” del secondo individuo non identificato, hanno quindi agito d’astuzia. E così, fingendosi turisti che avevano ritrovato il cellulare per strada, hanno risposto ad una chiamata ricevuta, facendosi poi rivelare dal loro interlocutore l’identità del proprietario del telefonino.
Il quadro indiziario a carico dei due è stato ulteriormente irrobustito nel corso dei riconoscimenti fotografici da parte dei testimoni e dal fatto che la Focus fosse di proprietà di uno dei due leccesi, sorpreso qualche giorno dopo i fatti a ritirare la vettura abbandonata nelle campagne.
Tutti questi elementi hanno portato il pubblico ministero Maria Rosaria Micucci a richiedere l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di Martucci ed Olimpo, che sono così stati arrestati ed accompagnati in carcere.
BARI – Dario Stefano bacchetta Casili, che oggi esprime entusiasmo per gli interventi governativi in campo agricolo. “Con una certa sfrontatezza, il consigliere regionale Casili ricorda su Facebook che questo governo ce la sta mettendo tutta per non lasciare da soli gli olivicoltori e gli agricoltori, con promesse da 400 milioni di euro che non lasciano spazio a polemiche da campagna elettorale. Ricorda, ancora, che l’Europa è corresponsabile di questa sciagura e che la maggior superficie olivicola del Salento è detenuta da piccoli agricoltori. Casili si ricorda, oggi. E ci sembra tanto lo smemorato di Collegno”. Lo scrive in una nota Dario Stefàno, vicepresidente del Partito Democratico a Palazzo Madama.
“Noi, viceversa, ricordiamo bene ciò che Casili, insieme a tanti altri suoi colleghi 5Stelle, ha sostenuto per diversi, troppi, anni sul tema della Xylella fastidiosa: la slupatura, la neve che avrebbe bloccato la diffusione della batteriosi, il complotto, gli olivi Ogm e altro ancora. Ma l’errore di oggi, come quello di allora, è sempre lo stesso – prosegue Stefàno – e cioè tentare di dimostrare di essere più bravi di altri a prescindere, di avere coscienza di un problema, senza però averne adeguata conoscenza. Se, infatti, il consigliere pentastellato prima aveva coscienza dell’essiccamento degli alberi di olivo ma non aveva affatto una reale conoscenza, come dimostrato dal naturale decorso di madre natura rispetto alle sue insolite quanto confuse profezie, oggi prende coscienza della necessità di fondi per il settore olivicolo salentino, ma non sa che quei fondi – a differenza di come viene raccontato – se arriveranno, in realtà non potranno essere di sostegno né a grandi né ai piccoli olivicoltori danneggiati dalla xylella”.
“Conviene spiegare, allora, anche al consigliere che quei 400 milioni promessi, che dovrebbero arrivare dal Fondo di Sviluppo e Coesione, potranno essere destinati solo a progetti strategici di tipo infrastrutturale o immateriale, dunque solo ad investimenti e non anche al ristoro dei danni subiti meno che meno agli espianti. Al consigliere serve fare un ulteriore passetto, perché prendere coscienza del problema è stato certamente positivo ma evidentemente non basta”.
Casili dribbla le spiegazioni sulle dichiarazioni passate e contrattacca: “In periodo di campagna elettora le succede addirittura che il senatore Stefano difenda Michele Emiliano e la sua Giunta. Mi chiedo come mai si preoccupi tanto delle mie dichiarazioni. Eppure da un uomo della vecchia politica non ci si aspetterebbe tanto isterismo, soprattutto in ragione delle questioni che sottopongo e dove dovremmo convergere tutti a tutela del mondo agricolo, a cui poco importa la polemica dello Stefano di turno o di Casili. Peccato che non entri nel merito di quanto abbiamo chiesto alla Regione, ovvero un piano che individui regole criteri per la ricostruzione sociale ed economica per l’olivicoltura pugliese, senza il quale i fondi che arriveranno non potranno essere ben spesi. Una programmazione che dovrebbe andare oltre il colore politico e tenere conto soltanto dell’interesse dell’olivicoltura. Invece purtroppo c’è chi preferisce perdersi in sterili polemiche, invece di dare il proprio contributo per far rinascere un comparto in profonda crisi. Per quanto mi riguarda continuerò costruttivamente a chiedere la programmazione di interventi strutturali che rilancino l’economia di un settore attraversato da una crisi epocale che coinvolge 20mila braccianti nella sola provincia di Lecce, senza considerare le aziende costrette a chiudere. Lascio agli altri la ricerca della visibilità per soli fini elettorali, peggio ancora se occupano incarichi istituzionali così importanti”.
Dopo due album inediti, “Welcome to Camden” (2012) e “AlbumGiallo” (2015), la rock band salentina Camden torna con un nuovo singolo dal titolo “Fondo Immbile”.
Il brano è stato lanciato con un videoclip venerdì 22 marzo su youtube YouTube e sulle pagine social della band e anticipa il terzo progetto discografico del trio in uscita a fine anno.
“Fondo immobile” è prodotto dai Camden in collaborazione con Marco Ancona, artista salentino tra i più noti nel panorama musicale nazionale indipendente.
Il titolo del brano è una perifrasi del più comune muro e in particolare il muro esterno di un’abitazione che è stato donato all’associazione ViaVai Project per essere trasformato in un’opera d’arte da uno street artist. Il videoclip del brano, realizzato da Mellor’s Visual Agency con la regia di Emiliano Picciolo e Loredana Mottura, racconta il dissidio dell’artista, che prende corpo nelle ceneri di momenti vissuti in pieno fra nuovi incontri, confessioni, vizi e riflessioni e che, alla fine, rimane intrappolato in eterno in ogni pennellata data sul muro.
Ci sono storie infinite, longeve, che regalano emozioni. Una di queste è la storia che lega indissolubilmente da dieci anni tre ragazzi salentini, Ester Ambra Giannelli (guitar/voice), Massimo Munitello (bass) e Vincenzo Zizzi Sanfrancesco (drums).
I Camden nascono nel novembre del 2009 dall’idea di rendere omaggio alla musica inglese dagli anni ‘60 ai nostri giorni in chiave acustica. La pubblicazione del primo singolo “On Liberty” nel 2011 anticipa la realizzazione dell’album di inediti intitolato “Welcome to Camden”, che vede la luce il 30 aprile 2012.
Da quel momento i Camden si sono esibiti in Italia e nel Regno Unito. Nel 2011 hanno aperto il concerto di Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettric alle officine Cantelmo di Lecce e nel 2012, nell’ambito della rassegna “Vetrine Inedite” di Brindisi, si sono classificati al primo posto con i brani inediti.
Nel giugno 2015 pubblicano il secondo album intitolato “Album Giallo”.
All’uscita del singolo seguirà un mini tour della band nel Salento. La prima data è fissata per il 5 aprile al Jack’n Jill di Cutrofiano.
Il singolo “Fondo immobile” è disponibile sui maggiori digital store.
CAPRARICA (Lecce) – Valorizzare i prodotti, far conoscere le eccellenze, creare opportunità per il territorio: con questo spirito Caprarica si appresta a proporre sulle tavole dei suoi ristoranti il tartufo salentino.
Seppure si può pensare ad una bizzarria, in realtà il tartufo salentino è una vera prelibatezza. Riconosciuta anche dagli esperti di territori con una storica tradizione nel settore del tartufo.
E proprio dalla ripresa di vigore del gemellaggio con Valtopina – avviato ai tempi del terremoto in Umbria – dove si svolge una degli eventi più consolidati del settore (la Mostra Mercato giunta alla 38^ edizione) – che Caprarica ha trovato la spinta per mettere il tartufo salentino al centro di un primo programma gastronomico.
Il tartufo bianco – il cd ‘bianchetto’ (il suo nome scientifico è Tuber Borchii Vitt) e quello nero – cd ‘scorzone’ – presente durante il periodo estivo (il suo nome scientifico è Tuber Aestivum), crescono sotto le querce e quindi i lecci (varietà della quercia stessa). Questa ricchezza, presente nel Salento, ma con una buona concentrazione nelle campagne del Salento di mezzo – sarà la protagonista delle tavole dei Ristoranti di Caprarica il 6 e 7 Aprile: Oltregusto, Vizio del Barone, Masseria Stali, Piccola Masseria Li Curti, Griglieria Chiusura di Sotto prepareranno piatti e menu per rendere onore al gusto ed alle numerose proprietà organolettiche del tartufo salentino – che nulla ha da invidiare ai prodotti più conosciuti e valorizzati di altre aree d’Italia. Il tartufo – anche quello Salentino – ha effetti fortemente antiossidanti ed elasticizzanti dei tessuti. E’ un’ottima fonte di magnesio e calcio, con un basso contenuto di grassi ed un altissimo contenuto proteico, molto più alto di quello della carne, visto il suo basso livello di acqua, e parliamo di proteine nobili, di ottima qualità.
LECCE – Una scoperta che getta nuova luce sullo sfruttamento delle scimmie nell’antichità: a Shahr-i Sokta, in Iran, i ricercatori del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento hanno rinvenuto un macaco reso, morto a circa cinque anni di età, sepolto nella necropoli intorno al 2800-2500 a.C. secondo le stesse pratiche funerarie utilizzate nel sito per seppellire i bambini. La notizia dello studio sull’International Journal of Osteoarchaeology” è stata di recente pubblicata su “Nature Research Hightlights”.
Nel 2017 il Dipartimento di Beni Culturali ha avviato il progetto multidisciplinare MAIPS – Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha per lo studio del sito e dei materiali in corso di scavo da parte della Missione Archeologica Iraniana, che si svolge dal 1997 sotto la direzione scientifica di Seyyed Mansur Seyyed Sajjadi dell’Iranian Center for Archaeological Research e, per la parte italiana, di Enrico Ascalone dell’Università di Göttingen. Finanziato da UniSalento e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il progetto vede impegnati i docenti Giuseppe Ceraudo (Topografia antica), Pier Francesco Fabbri (Antropologia fisica), Girolamo Fiorentino (Archeobotanica) e Claudia Minniti (Archeozoologia), sotto la cui direzione si studiano, appunto, anche i resti animali.
«Shahr-i Sokta è uno dei siti archeologici più estesi del Medio Oriente (oltre 150 ettari), attribuibile alla Cultura di Jiroft e fiorito dalla fine del quarto millennio all’inizio del secondo millennio a.C. sul corso del fiume Helmand», spiega la professoressa Minniti, «L’aspetto importante di questa scoperta è data dal fatto che nessuna specie di primati non umani è originaria dell’Iran, il macaco reso rinvenuto a Shahr-i Sokta si trova fuori il suo areale di distribuzione naturale. Numerosi dati documentano come il sito di Shahr-i Sokta abbia intrattenuto rapporti commerciali e culturali con siti e culture antiche nella valle dell’Indo, sulle coste meridionali del Golfo Persico, il Mare dell’Oman, l’Iran sud-occidentale e Asia centrale.
Si può ipotizzare anche per il macaco reso una possibile provenienza dalla valle dell’Indo, attraverso l’attuale territorio dell’Afghanistan. Anche se nessun altro primate non umano abitava nel Vicino Oriente o in Mesopotamia, questi animali erano ben noti nell’antichità: numerose fonti scritte e iconografiche documentano come le scimmie fossero generalmente considerate simboli di prosperità e potere, per il loro carattere esotico (e quindi raro), e come spesso rappresentassero doni di scambio tra reali e membri elitari di diverse culture. Venivano tenuti come animali da compagnia, talvolta raffigurati al guinzaglio e con tratti umani, sovente rappresentati mentre ballano e suonano il flauto».
Claudia Minniti è professoressa associata di Archaeozoologia presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento. Le sue ricerche riguardano lo studio dei resti animali provenienti da contesti archeologici italiani ed esteri di diverso periodo cronologico dal Neolitico all’età medievale, con integrazione di altre discipline (storia, etnografia, zoologia, etologia). Oltre 100 le pubblicazioni tra monografie, atti di congressi e articoli su riviste nazionali e internazionali.
NARDO’ (Lecce) – Continua la marcia di avvicinamento al Campionato Nazionale di Scherma Cadetti e Giovani, che per la prima volta nella storia della Federazione Italiana Scherma – che quest’anno celebra i suoi 110 anni di vita – si terrà a Lecce, al Palaventura e a LecceFiere, dal 24 al 26 maggio prossimi.
Fra gli appuntamenti che precedono la prestigiosa manifestazione sportiva, domenica 31 marzo, il Pala Andrea Pasca di Nardò ospiterà, dalle 9 alle 12 circa, il primo Memorial Aldo Pagliara, un torneo di spada a squadre miste che vedrà impegnati tutti gli atleti del Club Scherma Lecce. A sfidarsi saranno sei formazioni, ciascuna composta da quattro schermidori di categorie diverse. Ciascuno schermidore sarà impegnato nell’assalto in base alla propria categoria di appartenenza.
Ci sarà una fase a gironi, seguita poi dalle finali a cui spetterà decretare la squadra vincitrice. Agli atleti vincitori, oltre ai premi previsti, sarà consegnata anche una targa alla famiglia Pagliara: alla memoria del figlio Aldo, infatti, è dedicato il torneo.
Il Campionato Nazionale di Scherma Cadetti e Giovani inserisce il Salento in un circuito inedito: a Lecce sono in arrivo i primi 42 giovani atleti di ogni arma (fioretto, spada e sciabola), per ognuna delle due categorie (cadetti e giovani), provenienti da tutta Italia. Complessivamente, sono attesi 504 schermidori, una presenza di circa 3000 persone al seguito e sono già stati prenotati circa 6000 pernotti nelle strutture ricettive cittadine.
D’altra parte, il Campionato Nazionale Cadetti e Giovani – organizzato dalla FIS – è la seconda manifestazione di scherma più importante a livello nazionale, dopo gli Assoluti. L’approdo a Lecce è stato reso possibile dall’ottimo lavoro svolto sul territorio dal Club Scherma Lecce, che supporterà la Federazione dal punto di vista organizzativo durante la tre giorni, con la collaborazione logistica del Comune, che ha messo a disposizione le strutture.
In vista, quindi, del week end di maggio, il Club ha organizzato una serie di incontri dimostrativi nelle scuole di Lecce e provincia con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani ad uno stile di vita sano e costruttivo attraverso la pratica dello sport, ma soprattutto per prepararli ad essere spettatori di una importante competizione che assegnerà i titoli nazionali della disciplina olimpica più medagliata.
Dopo l’Ascanio Grandi, si resta nel capoluogo e mercoledì 10 aprile tocca al Liceo Classico-Musicale Palmieri, mentre il 17 aprile all’Istituto Tecnico Deledda. Durante questo incontri, gli studenti vengono divisi in due gruppi e, dopo una breve relazione del maestro Teodorico D’Avella sulla differenza fra le tre armi (spada, fioretto e sciabola), è previsto l’assalto dimostrativo di spada su pedana attrezzata (con apparecchiatura e segnastoccate), l’intervento da parte del pubblico con domande e la lezione col maestro – anche di scherma in carrozzina – per chi si propone volontario.
SANNICOLA (Lecce) – Marito e moglie nei guai per spaccio di sostanze stupefacenti: lui è stato arrestato e ristretto ai domiciliari, mentre lei è stata denunciata a piede libero.
Nei guai, nella serata di ieri, sono finiti M.D., 39enne di Tuglie, e la moglie 33enne R.L., fermati dai carabinieri della stazione di Sannicola per un controllo stradale e sorpresi in possesso di un carico di marijuana.
La coppia è stata fermata mentre viaggiava sulla Opel Meriva dell’uomo, a bordo della quale è poi scattata la perquisizione dei militari, terminata con il rinvenimento di 445 grammi di “erba”, custoditi all’interno di una busta in cellophane.
La successiva perquisizione domiciliare ha poi consentito di rinvenire ulteriori 605 grammi di marijuana (che erano custoditi in tre barattoli), 145 grammi e mezzo di hashish nonché tre piante di marijuana in ottimo stato vegetativo, oltre a vario materiale per il confezionamento delle dosi ed un bilancino di precisione.
Per l’uomo, come detto, sono scattati gli arresti domiciliari, mentre la donna è stata deferita in stato di libertà.
TREPUZZI (Lecce) – Arresti e controllo del territorio non fermano la microcriminalità nel comune di Trepuzzi. L’ultimo assalto nel paese nord salentino si è consumato nel pomeriggio poco dopo le 18.00 ai danni della farmacia “Perrone” in via Cesare Battisti in pieno centro abitato. Ad agire due banditi, travisati di cui uno armato di coltello, scappati con un bottino irrisorio: appena 20 euro.
Tanto è bastato per scatenare momenti di paura all’interno della farmacia. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito. I malviventi, intascato l’esiguo malloppo, sono scappati all’esterno raggiungendo una Hyundai Atos, parcheggiata nelle immediate vicinanze, oggetto di furto giorni fa a San Donaci e ritrovata bruciata in serata a Novoli.
Dopo alcuni minuti in via Cesare Battisti sono arrivati i carabinieri del Norm di Campi salentina (guidati dal tenente Antonio Saponaro) insieme ai colleghi della locale stazione (al comando del luogotenente Giovanni Papadia). I militari hanno acquisito le testimonianze delle persone presenti e le immagini delle telecamere di videosorveglianza installate all’interno della farmacia. Dalla visione dei filmati gli investigatori confidano di poter ottenere qualche elemento utili per delineare un primo profilo dei malviventi.
MAGLIANO (Lecce) – Rapina a mano armata alle Poste di Magliano, la frazione di Carmiano. Ad agire, quando mancavano dieci minuti allo scoccare delle 11, è stato un individuo solitario armato di coltello, presentatosi nell’ufficio postale di via Grazia Deledda col volto parzialmente camuffato da un cappello e, pare, anche da barba finta.
Brandendo minacciosamente un coltello, il rapinatore si è quindi diretto verso gli sportelli delle Poste, pretendendo con le minacce la consegna dei soldi custoditi nelle casse. Dopodiché ha guadagnato l’uscita e si è allontanato a bordo di una Golf di colore blu, facendo perdere rapidamente le sue tracce. Non è chiaro se fosse atteso da un complice.
Il bottino è piuttosto esiguo: stando alle prime stime, infatti, ammonta ad appena 340 euro. Sul posto, dopo l’allarme, sono intervenuti i carabinieri della stazione di Carmiano e gli investigatori della Compagnia di Campi Salentina. Fortunatamente non si sarebbero registrati feriti.
L’ufficio postale preso di mira è munito di impianto di videosorveglianza: i filmati saranno analizzati dagli investigatori, alla ricerca di indizi che possano consentire ai militari di individuare il responsabile ed i suoi eventuali complici.
SAN PIETRO IN LAMA (Lecce) – Violentata dallo zio a cui era stata affidata sin da quando aveva 8 anni. E tenuta sotto ricatto di non raccontare nulla perché altrimenti sarebbero state botte. Una triste e squallida vicenda di presunti abusi sessuali si chiude con la condanna dell’imputato: 15 anni di reclusione sono stati inflitti a un 51enne San Pietro in Lama accusato di violenza sessuale aggravata e continuata ai danni di una ragazzina minore di 14 anni. Un verdetto esemplare o estremamente punitivo a seconda di quale prospettiva lo si guardi ma che, nella sostanza, non si discosta dalla richiesta del pubblico ministero Stefania Mininni (le indagini erano state condotte e chiuse dal collega Massimiliano Carducci) che aveva sollecitato 14 anni. La sentenza dei giudici della prima sezione penale (Presidente Francesca Mariano) è stata pronunciata a conclusione di un incidente probatorio bis nel corso del quale la ragazzina è stata sentita a porte chiuse e schermata da un pannello mentre rilasciava la sua testimonianza. Il dispositivo prevede anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il pagamento di una provvisionale di 60mila euro in favore dei genitori della ragazzina (ancora minorenne) parte civile nel processo con l’avvocato Rita Perchiazzi.
L’indagine è stata avviata dopo una denuncia della minore ora 17enne. I presunti abusi sarebbero iniziati nel dicembre del 2008 e si sarebbero conclusi solo nell’agosto del 2010. La giovane era stata affidata alla zio e alla moglie dell’uomo con un provvedimento del Tribunale per i Minorenni dopo l’allontanamento della madre naturale.
Gli abusi sarebbero andati avanti con frequenza. Due, persino tre volte a settimana. Lo zio avrebbe abusato della nipotina quando rientrava a casa spesso in condizioni di ubriachezza oppure quando guardavano la televisione insieme. L’uomo prima si masturbava. Poi scattavano le violenze. In altre circostanze la minorenne sarebbe stata violentata sul letto matrimoniale e minacciata di subire ritorsioni fisiche se avesse raccontato alla zia affidataria le attenzioni sessuali ricevute. Ma anche a veri e propri rapporti sessuali completi. Un abominio senza fine consumato tra le pareti di casa che da un nido protetto si sarebbe trasformato in un inferno. Subito dopo la denuncia la ragazzina ha abbandonato l’abitazione degli zii per trasferirsi in un centro di riabilitazione in provincia di Lecce.
L’avvocato Paolo Maci
Subito dopo l’avviso di conclusione, l’avvocato Paolo Maci depositò un’articolata memoria difensiva offrendo una ricostruzione dei fatti diametralmente differente. Per la difesa, l’impianto accusatorio si sarebbe basato solo ed esclusivamente su dichiarazioni de relato della vittima, basate su confidenze fatte alla donna cui era stata affidata dal Tribunale dei Minorenni di Lecce, dopo l’allontanamento sia dalla famiglia di origine, che da quella degli zii. Dichiarazioni che, all’esito delle indagini, non avrebbero trovato alcuna conferma tra i testimoni ascoltati dagli investigatori come gli insegnanti della scuola frequentata dalla minore e gli operatori della comunità dove la minore era stata collocata dopo l’allontanamento dal nucleo familiare.
La ragazzina, inoltre, non avrebbe confermato le accuse mosse allo zio neppure newl corso del primo incidente probatorio. La difesa ha sempre valutato non attendibile il racconto della minore, ritenendo che la ricostruzione fosse il frutto sia di un intento “punitivo” nei confronti dello zio, indicato più volte quale autoritario (in un verbale di ascolto in sede di perizia la minore, rivolgendosi allo zio, lo identificava con “è Hitler” e come colui che la voleva allontanare da casa “mi sgridava e non mi voleva in casa”.
NOTA AVVOCATO MACI
“La vicenda che ha come protagonista il mio assistito si è definita in primo grado con una sentenza ingiusta, avverso la quale ricorreremo in appello. La complessa istruttoria del processo di primo grado aveva indotto la pm, dopo una lunga discussione, a chiedere l’assoluzione. Solo a questo punto il Tribunale, che aveva ormai chiuso l’istruttoria e invitato le parti a concludere, evidentemente insoddisfatto delle conclusioni del pm, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha disposto di riascoltare la minore già sentita quattro anni prima in sede di incidente probatorio, durante il quale nulla la stessa aveva riferito contro lo Zio. Riascoltare ora la minore è stata una decisione sbagliata. Dopo quattro anni non solo la stessa non poteva contraddire la denuncia sporta dai genitori affidatari – presenti in aula – sulla base delle sue asserite confidenze, ma la stessa ha fornito in sede di ascolto delle dichiarazioni per molti versi prive di logicità dal punto di vista fattuale, quindi inverosimili, e del tutto inidonee a scardinare, come pure è avvenuto, le sorti di un processo che si avviava ad una soluzione completamente diversa. Tra l’altro, il Tribunale, evidentemente soddisfatto del risultato delle dichiarazioni, non solo ha ritenuto di non concedere all’imputato un termine a difesa ma ha rigettato anche la richiesta di ascoltare testi a prova contraria che avrebbero contribuito sicuramente a smentire ancora una volta e in maniera definitiva la parte offesa”.
Per appellare la sentenza bisognerà attendere il deposito delle motivazioni attese nei prossimi 90 giorni.
“PAGLIACCIO.. SEI IL FIGLIO DEL MALE” Ieri, l’aula del Consiglio Comunale di Nardò ha conosciuto la pagina più indegna, cupa ed infame che la storia democratica di questa Città possa ricordare. Non solo l’aumento del 14,47% (il più alto della Provincia) della tassa sui rifiuti, ma la barbarie più profonda di modi e toni. Non abbiamo sentito una sola parola di merito tecnico, a sostegno di ciò che il Consiglio stava esaminando, da parte della Giunta Comunale. Offese, un maremoto di offese gratuite, gravi, indecenti, che sono arrivate a scalfire nel profondo la mia onorabilità e quella della mia famiglia. Non conosco il motivo per il quale il Sindaco pro tempore di questa Città nutra tutto questo astio, questa rabbia immotivata nei miei confronti. Qual è la mia colpa? Quella di essere stato eletto grazie alla fiducia riposta in me da 473 cittadini della nostra comunità? Quella di essere figlio di chi ha avuto un ruolo politico in questa Città? Quella di non aver traslocato armi e bagagli nelle file della sua maggioranza, così come fatto da altri Consiglieri eletti in minoranza e che hanno preferito barattare la fiducia dei loro elettori con qualche poltroncina di comodo? Non riesco a darmi una risposta e francamente neppure mi interessa. Non so come si riesca ad affermare che la discarica di castellino porta il nome della mia famiglia. Neppure la più indomita irrazionalità riuscirebbe a portare un soggetto a fare delle affermazioni così false ed infamanti. Neppure la totale mancanza di giustificazioni valide rispetto ad un aumento delle tasse. Non ho bisogno di affermare che della mia famiglia e di mio padre (che per 20 anni ha svolto il suo ruolo senza mai essere scalfito da una singola “ombra”) ne vado orgoglioso. Non l’ho mai fatto pubblicamente. Questo perché mi è stato insegnato che politica ed affetti personali sono due emisferi differenti. E tali devono restare. Io continuerò a percorrere la mia strada, insieme ai miei colleghi e alle persone che mi sostengono. Senza mai cadere nella provocazione, nella bolgia della menzogna, dell’indegna diffamazione. Perché oltre a contribuire ad irrobustire una coalizione che si candidi a portare la buona Politica al governo della Città, vorrei che terminino di esistere questi continui rivoli di odio e bave di intolleranza, che le istituzioni non dovrebbero mai conoscere. Allo stesso tempo, però, ho il diritto e il dovere di difendere la mia onorabilità e quella della mia famiglia.
NARDÒ – Lo scontro tra il sindaco Pippi Mellone e i suoi oppositori si fa sempre più duro. Durante il Consiglio comunale sui rifiuti, il consigliere Lorenzo Siciliano del Pd interrompe il primo cittadino. “Non mi deve interrompere questo pagliaccio – sbotta Mellone – Figlio di papà! La smetta! Lei è figlio del male assoluto! Lei è figlio del male! La discarica di Castellino porta il nome della tua famiglia! Smettila!”(guardate il video cliccando sull’immagine ndr). A nulla servono i richiami del presidente del Consiglio. Gli animi sono infuocati: l’avversione è profonda. Si discute dell’aumento del 14 per cento della tassa sui rifiuti: il primo cittadino addita le amministrazioni passate. L’opposizione spiega che è colpa di Mellone: nel 2010 il Comune era commissariato, dopo il governo Vaglio; nel 2011-2012-2013 e 2014 si accumulano i residui TEFA; nel 2015 – 2016 c’era Mellone. Si affastellano le accuse reciproche.
Lorenzo Siciliano, intanto, risponde al sindaco promettendo querele e spiegando che suo padre non era alla guida di Nardò quando si diede il via libera alla discarica oggi dismessa.
MELPIGNANO (Lecce) – E’ un verdetto di colpevolezza e anche estremamente duro. Si chiude con una condanna a 7 anni e 7 mesi di reclusione il processo di primo grado a carico di Rocco Monaco, un carabiniere di 56 anni in servizio alla Compagnia di Lecce ma residente a Melpignano, accusato di stalking, violenza sessuale e violenza privata (reato dichiarato prescritto) su una donna di 41 anni, residente a Taviano, con cui il militare aveva intrattenuto una relazione sentimentale. La sentenza è stata pronunciata dai giudici della prima sezione penale (Presidente Francesca Mariano) e va ben oltre la richiesta di 3 anni e 4 mesi invocati dalla Procura per la sola accusa di stalking e l’assoluzione da tutti gli altri reati. Il dispositivo prevede anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per l’imputato. E dire che la persona offesa aveva anche ritirato la querela. Il processo, però, è andato avanti perché i reati risultavano procedibili d’ufficio approdato, a distanza di anni dai fatti, in un verdetto di colpevolezza. Almeno in primo grado. Ora il carabiniere è libero (era anche presente in aula questa mattina) ma il 16 agosto del 2014 finì ai domiciliari con un’ordinanza a firma del gip Alcide Maritati sulla scorta delle indagini condotte dagli agenti del Commissariato di Taurisano, guidati dal dirigente Salvatore Federico e dall’allora sostituto commissario Rosanna Buffo. Salvo poi tornare in libertà nel mese di settembre.
Secondo quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, il militare avrebbe picchiato, minacciato di morte con la pistola d’ordinanza sparando tre colpi e poi puntandogliela alla testa contro la donna con cui avrebbe avuto una relazione di quasi otto anni. Nel privato di una relazione d’amore avrebbe perso completamente i freni inibitori arrivando ad inviare anche 200 sms al giorno alla donna costretta a consumare rapporti sessuali contro la sua volontà. Il contenuto di due denunce depositate dalla donna sono state confermate da tre testimoni: l’ex marito, il figlio e il nuovo compagno. In particolare di particolare pregnanza probatoria risultarono le dichiarazioni rilasciate dall’ex consorte dal quale la donna divorziò per via della relazione con l’appuntato Monaco.
Parlò di uno degli episodi più gravi accaduti durante quella relazione: una sera di ottobre del 2008 la moglie rientrò a casa terrorizzata. Lui era al corrente del legame con il carabiniere e restò ad ascoltarla mentre gli raccontava di come il militare avesse sparato tre colpi di pistola d’ordinanza nella casa di Baia Verde di Gallipoli dove si incontravano. L’aveva fatto, riferì la donna, dopo che lei aveva provato per l’ennesima volta a fargli capire di volere mettere fine alla loro storia.
Fin qui le accuse e il processo in cui è confluita anche una perizia sul telefonino del carabiniere effettuata dall’ingegnere informatico Luigina Quarta che non aveva fatto emergere alcun dato compromettente. Una macchia questa condanna che la difesa (gli avvocati Luigi Suez e Dimitry Conte) impugnerà in Appello non appena saranno depositate le motivazioni. Anche perché sul piano squisitamente professionale il carabiniere si è sempre segnalato per la dedizione, la professionalità e l’attaccamento alla divisa dimostrati sia negli anni trascorsi nella Compagnia di Gallipoli che da quando in servizio a Lecce.
LECCE – Per anni ha rappresentato la pubblica accusa nelle aule di Tribunale in processi anche molto delicati. Da oggi il magistrato Emilio Arnesano siederà sui banchi opposti. Con altri nove imputati. E’ scattato, questa mattina, davanti ai giudici del collegio B del Tribunale di Potenza (competente per i procedimenti a carico di magistrati del Distretto di Lecce), il processo scaturito dall’inchiesta ribattezzata “Favori&Giustizia” culminata il 6 dicembre in una serie di arresti eccellenti (tra cui il magistrato originario di Carmiano e alcuni dirigenti Asl) coinvolti in un presunto intreccio di favori e corruttele. Tanto che il gip Amerigo Palma nell’ordinanza parlava di “uno sconcertante e collaudato sistema criminale in cui, insospettabili professionisti utilizzavano a proprio vantaggio la posizione rivestita dall’Arnesano per ottenere favoritismi dietro elargizione di vantaggi economici o prestazioni sessuali piegando e svendendo la funzione pubblica, in particolare quella giudiziaria, al perseguimento di interessi privati”.
Ottavio Narracci
Ma torniamo al processo. In aula, questa mattina era presente il magistrato 62enne, attualmente sospeso dal servizio, al fianco dei propri avvocati Luigi Corvaglia e Luigi Covella. Cosi come il pm era presente anche la stragrande maggioranza degli imputati: il direttore dell’Asl Ottavio Narracci, 59 anni, di Fasano; il medico del “Fazzi” Carlo Siciliano, 63 anni, di Lecce, attualmente sospeso; il primario del Reparto di Ortopedia e Traumatologia del “Vito Fazzi” Giuseppe Rollo, 59 anni, di Nardò, tutti ai domiciliari con quest’ultimo autorizzato a recarsi sul posto di lavoro e per il quale la difesa (gli avvocati Ladislao Massari e Renata Minafra) ha avanzato in aula richiesta di scarcerazione su cui il pm (il procuratore capo Francesco Curcio) si è riservato di depositare il proprio parere a breve. Altri imputati, sono le toghe: l’avvocato Mario Ciardo, 55 anni, di Tricase, (inizialmente sottoposto al divieto di dimora nel Comune di Lecce misura revocata di recente); l’avvocatessa Manuela Carbone, 35 anni, di Matino, (la cui posizione è stata riunita); l’aspirante avvocatessa Federica Nestola, 31enne, di Copertino, (raggiunta da una misura interdittiva dall’attività per un anno revocata nelle scorse settimane) e il Vicepresidente del collegio di disciplina dell’Ordine degli avvocati di Lecce, Augusto Conte, 77 anni, di Ceglie Messapica, (sospeso per 2 mesi).
I legali Stefano Chiriatti e Francesco Paolo Sisto, dopo un primo rigetto, hanno depositato una nuova istanza di patteggiamento per il primario Trianni e reiterata a 1 anno e 11 mesi oltre a 50mila euro di risarcimento al Ministero di Grazie e Giustizia su cui però il Ministero non ha potuto esprimere il proprio parere così come il pm Veronica Calcagno. Il Tribunale (Presidente Sergi) ha rinviato al 18 aprile in attesa di conoscere l’orientamento (vincolante) del Ministero che dovrà pronunciarsi sull’effettiva congruità del risarcimento. Sempre lo stesso pm ha depositato due altre informative della Guardia di Finanza che riguarderebbero intercettazioni già allegate nel fascicolo ma ripulite e con altre parti ritenute rilevanti ai fini processuali e i testi di messaggi estrapolati da alcuni smarthphone. La difesa ha chiesto un termine per visionare il nuovo carteggio.
Sempre la pubblica accusa ha depositato una corposa lista di testimoni. Nel corso dell’istruttoria dovranno sfilare, tra gli altri, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone che con una nota al Procuratore Leone De Castris segnalò l'”anomalo” comportamento del collega Arnesano nella conduzione di alcuni processi; i proprietari della tenuta, a Pietrapertosa in Basilicata, dove si sono tenute le battute di caccia; alcuni avvocati per la vicenda in cui è coinvolto il legale Ciardo; un’altra avvocatessa, indicata come persona informata dei fatti, in un episodio di corruzione in cui sono imputati il magistrato e il dottore Narracci ai quali la professionista si sarebbe rivolta affinché si impegnassero per trovare un lavoro alla figlia; oltre agli ufficiali di pg della Guardia di Finanza che hanno condotto le indagini. Furono proprio i militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce ad arrestare gli odierni imputati al termine di un’indagine che fa leva sul contenuto di innumerevoli intercettazioni (che oggi sono state affidate ad un perito per la trascrizione).
Una delle posizioni più scomode, anche per il ruolo ricoperto per decenni, riguarda proprio il magistrato salentino che, negli ultimi mesi, era stato dirottato nel pool dei reati contro le fasce deboli dopo aver lavorato per anni nei ranghi dei magistrati impegnati nei reati contro la pubblica amministrazione. Il magistrato avrebbe accelerato l’esito favorevole del processo a carico del direttore Asl Ottavio Narracci in cambio di uno sconto di 17mila euro sulla barca di 11 metri acquistata dal dirigente Asl Carlo Siciliano; avrebbe dissequestrato la piscina di Giorgio Trianni, altro dirigente Asl, in cambio di due battute di caccia al daino in Basilicata; stando alle contestazioni avrebbe promesso l’interessamento per due fascicoli penali a carico di Pasquale Rollo (primario di ortopedia del “Fazzi”) in cambio di una corsia preferenziale per una visita specialistica di un suo stretto parente. C’è poi il capitolo più scottante.
Arnesano avrebbe favorito l’avvocata Benedetta Martina (che nelle scorse settimane ha chiuso la sua vicenda giudiziaria patteggiando 2 anni e 8 mesi) in due procedimenti ottenendo in cambio rapporti intimi e avrebbe raccomandato un’aspirante avvocata ed un’altra sottoposta ad un procedimento disciplinare. In cambio di sesso, come sostiene l’accusa. nei giorni scorsi, infine, il magistrato è stato sospeso dall’attività di magistrato e dallo stipendio con un provvedimento adottato dal Consiglio Superiore della Magistratura.
In aula si tornerà il 18 aprile prossimo quando, superato lo scoglio della richiesta di patteggiamento avanzata da Trianni, dovrebbero essere affrontate altre eccezioni preliminari in un processo in cui non dovrebbero esserci parti civili. Neppure dell’Avvocatura dello Stato come si ipotizzava alla vigilia. Si procederà spediti con un fitto calendario di udienze (previste anche due a settimane fino a settembre) perché “questo processo”, come dichiarato dallo stesso Presidente in aula questa mattina, “ha la priorità su tutti”.
Il collegio difensivo è completato gli avvocati Alberto e Arcangelo Corvaglia; Amilcare Tana; Gabriele Valentini; Danilo Di Serio; Emilio Nicola Buccico, del Foro Matera; Giangregorio De Pascalis, del Foro di Trani; Cesare Placanica, del Foro di Roma; Aldo Morlino, del Foro di Potenza e Carlo Panzuti, del Foro di Brindisi.
LECCE – La sconfitta per 400 voti non scende giù. C’è chi non si fida e chi mette fuori la storia delle schede sospette gettate via, anche se in ogni seggio c’era un rappresentante per ogni candidato (la mancata vigilanza sarebbe colpa di chi era preposto). Difficilmente si può puntare sulla congettura delle primarie irregolari. Molti uomini vicinissimi a Messuti, dal 17 marzo, spingono per uscire, rompere i patti, andare via. Ci sono altri fedelissimi più cauti: “Questo è un discorso che si poteva fare prima, ma non si può partecipare alle primarie e poi andare via”. Eppure qualcuno è convinto che tutto sia aperto: “Non possiamo fare il gioco di chi ci prende in giro da anni: Marti e Perrone hanno azzoppato il nostro leader. Dobbiamo passare con Poli Bortone”. Messuti ha spento il telefono e sta riflettendo. Riflettere in politica significa incontrare gente: gli incontri riguardano i vertici polibortoniani.
Per la senatrice spaccare il fronte delle primarie sarebbe una grande vittoria capace di farla uscire da un certo isolamento: l’argomento che utilizza con Messuti è quello di non portare l’acqua all’asse Perrone-Marti. L’ingegnere Francesco Grasso (uno degli ex componenti di Civiche Unite) è passato con Gaetano Messuti, come già detto, ma a questo punto è tutto fermo. C’è molta tensione nel centrodestra.
IL PROBLEMA GRANDE LECCE
In queste ore giuge anche la quasi certezza che Grande Lecce “non s’ha da fare”. Le primarie hanno fatto molti feriti: il senatore Roberto Marti sembra che non possa permettersi una terza lista. Il perché di questo difficile equilibrio è semplice: il parlamentare leghista, dopo la débâcle di Spagnolo, deve dimostrare che quando lo decide i voti ci sono, quindi dovrà rendere fortissima la Lega, poi dare forza ai fedelissimi di Prima Lecce (la sua mano libera) e, infine, dare un aiutino ad Andare Oltre, del suo amico Pippi Mellone (che è riuscito a traghettare nella sua coalizione). A questo punto Grande Lecce sarebbe uno sforzo “dispersivo”.
LA LISTA DI PERRONE E IL POPOLO DELLA FAMIGLIA
Con Grande Lecce in bilico Giorgio Pala, migrante di FdI (non se la sentiva di portare l’acqua a Tondo e Guido), potrebbe scegliere la lista dell’ex sindaco Paolo Perrone, Lecce Città del Mondo. Intanto, nella partita leccese sembra esserci anche il Popolo della Famiglia, coordinato da Maria Luisa De Carlo: a livello nazionale sono col il centrodestra classico. Tutti pronti a pesarsi per raggiungere l’anelata meta di almeno un assessore per lista.
CASTRIGNANO DEL CAPO (Lecce) – Dimessa per un virus viene nuovamente ricoverata ma a distanza di neppure 24 ore dal primo accesso il suo cuore cessa di battere in una stanza d’ospedale. C’è un’inchiesta sul decesso di Egrentina Settima Schirinzi, originaria di Castrignano del Capo e deceduta il 7 marzo scorso, all’età di 64 anni. Il pubblico ministero Roberta Licci, titolare del procedimento, ha disposto la riesumazione della salma tumulata nel cimitero di Giuliano (frazione di Castrignano del Capo) e iscritto nel registro degli indagati i nomi di due medici in servizio presso l’ospedale di Tricase con l’accusa di omicidio colposo. La riesumazione della salma avverrà l’8 aprile. Subito dopo sarà conferito l’incarico di eseguire l’autopsia al medico legale Alberto Tortorella affiancato dall’anestesista rianimatore Salvatore Silvio Colonna e dall’infettivologo Gerolamo Portaccio. All’esame necroscopico sarà presente anche il consulente della famiglia, il medico legale Francesco Faggiano.
Sono stati proprio due dei tre figli della donna a mettere in moto l’inchiesta assistiti dall’avvocato Luca Puce con una circostanziata denuncia. I fatti risalgono al 6 marzo quando uno dei figli riceve una telefonata dalla madre. La donna riferisce di avere 38 di febbre e di accusare incontrollabili tremori e forti algie all’altezza dell’addome. Intanto, la temperatura corporea aumenta di pari passo ai dolori divenuti quasi lancinanti. Viene così contattata un’ambulanza che trasporta la donna in codice giallo presso il nosocomio “Cardinale Panico” di Tricase. Dagli esami ematochimici espletati, nonché da quelli strumentali (TAC ed Eco addome), non emerge alcuna patologia particolare. La donna,a detta dei medici, può tranquillamente fare rientro casa perché affetta da un banale virus che poteva essere curato con un’apposita terapia antibiotica integrata dall’assunzione di fermenti lattici. Ad ogni modo i dolori continuano e la temperatura corporea non diminuisce affatto.
Tant’è. Madre e figlio si adagiano sulle rassicuranti parole del medico nonostante la diagnosi, gli anomali valori e la presenza di acido lattico facessero propendere più per una sepsi in atto piuttosto che per un semplice virus. Inoltre il medico di turno esclude trombo embolie polmonari. Sostanzialmente la donna starebbe bene. Può così rientrare serenamente a casa dove, una volta arrivata, l’intero quadro clinico non migliora. Anzi. La signora non ha fame e a cena non mangia nulla. Inizia piuttosto un andirivieni dal bagno per evacuare fino a quando non rilascia sul pavimento feci macchiate da evidenti tracce di sangue vivo. Viene nuovamente richiesto l’intervento di un mezzo di soccorso. Una volta giunti in ospedale il medico di turno informa i familiari che la situazione è gravissima. Tanto che la signora accusa i primi segnali di perdita di coscienza nei propri movimenti.
La paziente viene così trasferita d’urgenza in rianimazione dopo una nuova Tac. Incosciente, violacea lungo tutto il viso, con un braccio quasi bluastro è in ipoglicemia e sono sopravvenuti problemi importanti ad un rene. La situazione è diventata ormai irreversibile. Alle domande dei figli sul perché la madre fosse stata dimessa solo alcune ore prima i medici non avrebbero saputo fornire adeguate risposte.
Alle prime luci del giorno successivo (il 7 marzo) arriva la comunicazione che mai e poi mai i figli avrebbero voluto ricevere: “Vostra madre è morta”. Per i familiari la disperazione è immensa. Hanno perso l’adorata madre in meno di ventiquattro ore senza aver mai ricevuto, a loro dire, una qualche spiegazione sulle reali cause del decesso e nutrendo forti dubbi sull’ipotizzata crisi di rigetto del fegato trapiantato anni prima in un ospedale del nord Italia così come sostenuto dai medici. Saranno ora gli accertamenti disposti dalla Magistratura ad appurare se questo ennesimo decesso denunciato in corsia si debba incuneare nei tanti casi di colpe mediche che, in particolare nell’ultimo periodo, sono confluiti sulle scrivanie dei magistrati della Procura leccese.