NARDO’-GUAGNANO (Lecce) – Un angioma benigno scambiato per un tumore. Una diagnosi medica sballata. L’odissea, i cicli di chemioterapia per tre anni e la sofferenza sopraggiunta per una leucemia causata proprio da quella terapia così invasiva. Per il decesso di Bruna Perrone, 58enne di Guagnano, il Tribunale ha emesso una prima verità. C’è un colpevole per quel decesso grado: l’oncologo Dario Muci, 63enne di Nardò, in servizio all’epoca dei fatti presso l’ospdale “Sambiasi”. Il giudice Marcello Rizzo ha condannato il camice bianco a due anni di reclusione, pena sospesa, con l’accusa di omicidio colposo. L’imputato dovrà anche provvedere al pagamento di una provvisionale di 200 mila euro per ognuna delle parti civili (i tre figli e il marito della donna) rappresentati in aula dagli avvocati Rocco Vincenti e Stefano Prontera. Il deposito delle motivazioni è previsto entro i prossimi 90 giorni. E’ stato invece assolto il radiologo Manrico Delli Noci, 65 anni. Con la formula per non aver commesso il fatto.
E per un verdetto di colpevolezza si era espresso anche il sostituto procuratore Carla Longo (in sostituzione della collega titolare del fascicolo, Stefania Mininni) che aveva chiuso la propria requisitoria invocando una condanna a tre anni per Muci e l’assoluzione per il radiologo.Nell’ambito della stessa inchiesta sono stati già assolti in abbreviato due altri medici.
Il processo su questo presunto caso di malasanità è stato scandito da una serie di ascolti di persone informate dei fatti sfilate dinanzi al Tribunale. Sono stati sentiti i familiari della donna che, con racconti struggenti, hanno ricostruito le sofferenze della donna. E sono stati sentiti anche i vari consulenti. Il verdetto ha così tenuto conto degli esiti delle varie consulenze. Quella della famiglia a firma del dottore Piero Grima; del pm redatta dai dottori dell’Università di Foggia Ardito ed Enrico; la consulenza del medico legale Vaglio (sentito in aula), Pavone e Santacroce per i medici. E quella di Paolo Di Giulio per Delli Noci. Lo stesso Roberto Vaglio ammise in aula che i suoi colleghi avrebbero sbagliato nella diagnosi facendo intuire che l’errore si poteva evitare. Diversa la tesi sostenuta dagli altri consulenti della difesa. La leucemia non sarebbe sopraggiunta per la chemioterapia. La donna era malata già da tempo e anche se avesse fatto la chemio per un problema inesistente sarebbe stata comunque utile per combattere la leucemia. Una volta interrotti i cicli la malattia sarebbe poi implosa.
Alla donna venne diagnosticato un cancro al fegato nel 2004. Il tumore però non esisteva. Era un angioma benigno di 18 centimetri. Da qui le cure e l’insorgenza, secondo gli avvocati della famiglia, di una grave forma di leucemia. L’errata diagnosi arrivò solo nel 2007. A distanza di anni. Ben tre da quando la Perrone aveva iniziato i pesanti cicli di chemioterapia. E quando la donna nel giugno del 2008 raggiunse il policlinico “San Matteo” di Pavia, la diagnosi fu quella di una grave forma di leucemia: “Sindrome mielodisplastica tipo anemia refrattaria con eccesso di Blasti”. La donna, nella vita di tutti i giorni una casalinga, venne sottoposta al trapianto del midollo ma non ci fu più nulla da fare. Sopraggiunsero complicanze ai polmoni e scompensi cardiaci che portarono la donna al decesso il 4 febbraio del 2009. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Giuseppe Bonsegna e Giuseppe e Pasquale Corleto. Nel procedimento, era stata citata anche l’Asl, assistita dall’avvocato Paolo Pellegrino, come responsabile civile condannata in solido al risarcimento dei danni. “Siamo molto soddisfatti” commentano gli avvocati di parte civile, “perché riteniamo che sia stata posta la parola fine in maniera definitiva”.
Francesco Oliva