GALLIPOLI (Lecce) – Un cavillo giuridico allenta i sigilli ai beni per un milione di euro sequestrati al clan “Padovano” nell’indagine “Baia Verde”. Nelle scorse ore il Tribunale del Riesame (Presidente Silvio Piccinno, a latere Antonio Gatto, relatrice Anna Paola Capano) ha accolto l’eccezione di incompetenza discussa dalla difesa. Gli avvocati Pantaleo Cannoletta, Mario Coppola, Luigi Rella e Giampiero Tramacere hanno eccepito l’incompetenza del gip Giovanni Gallo che ha emesso il provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca quando le indagini preliminari si erano già concluse e si era passati alla fase processuale, in cui alcuni imputati hanno scelto di essere giudicati in ordinario dinanzi al Tribunale ed altri in abbreviato (davanti ad un gup) che sono i due organi giudiziari competenti a pronunciarsi sull’eventuale sequestro.
Il 22 settembre scorso i carabinieri del Ros, in collaborazione con i colleghi della Compagnia di Gallipoli, sequestraronoil tesoretto accumulato da alcuni presunti affiliati al clan Padovano. Nello specifico. AGabriele Cardellini, 31enne di Gallipoli, vennero apposti i sigilli ad una sala giochi, “Games Room”; un appezzamento di terreno agricolo denominato “Nanni” ricadente in zona a vincolo paesaggistico; un appartamento a Gallipoli nel Residence Corso Italia; quattro motocicli e due conti correnti.
A Eugenio Corchia, 34, di Gallipoli, invece, furono sequestrati due conti correnti; altrettante autovetture ma soprattutto tre agenzie investigative: la “T & T Investigazioni”; la “T & T Investigazioni e Gestione Crediti srl” e la “N & T Investigazioni e SAS”. Nella disponibilità di Luca Tomasi, 42, di Carpignano Salentino, infine, una pescheria “Mare Nosciu” con sedi ad Aradeo e Collepasso, un’automobile e due conti correnti. Beni per un valore complessivo di oltre un milione di euro.
Così dopo il blitz di un anno fa ribattezzato “Baia Verde” la scure della giustizia si era abbattuta sul clan gallipolino poco più di un mese fa sotto forma di un provvedimento “che viene sempre più utilizzato nelle moderne strategie di contrasto alle mafie” per dirla con le parole utilizzate dal procuratore aggiunto Antonio De Donno nel corso della conferenza stampa. Il decreto di sequestro consentì di far emergere la riconducibilità al clan Padovano di consistenti beni mobili e immobili intestati agli odierni indagati e dei quali non sarebbe stato possibile ritenere legittima la provenienza.
Gli eredi del clan, secondo le indagini confluite nel sequestro, avrebbero infatti voluto ripristinare per anni un’egemonia nel mercato del pesce e di prodotti ittici come era già successo con la “Pescheria del Mare” dove, nel 2007, fu ucciso Salvatore Padovano. Una scalata economica e sociale stroncata sul nascere con l’operazione antimafia “Baia Verde” e con l’“aggressione” dei patrimoni del clan.
Francesco Oliva