Di Francesco Oliva
CASARANO (Lecce) – I segreti del boss Tommaso Montedoro sdoganati nei verbali della collaborazione: omicidi, rappresaglie, vendette all’ombra del clan, maturate nel controllo degli interessi illeciti. Tanti e diversificati. Emergono le prime verità contenute nei due verbali depositati nel processo “Diarchia” in cui vengono riportate le rivelazioni rilasciate agli inquirenti da Tommaso Montedoro. Nell’omicidio del suo ex socio Augustino Potenza poi diventato un acerrimo nemico insieme a Ivan Caraccio erano presenti altri due soggetti provenienti da fuori provincia. I sicari erano questi ultimi, secondo il pentito. L’incontro sarebbe stato pianificato dallo stesso Caraccio nei pressi dello spiazzo del centro commerciale alla periferia di Casarano dove poi, effettivamente, Potenza sarebbe stato ammazzato. Lui, Montedoro, non aveva alcun interesse ad uccidere l’ex compagno di avventure e sventure con il quale avrebbe avuto tensioni e incomprensioni nella gestione degli affari illeciti. Ma mai tali da maturare il proposito di ammazzarlo.
Il movente dell’omicidio, secondo Montedoro, sarebbe riconducibile ad un contrasto per debiti di droga mai saldati nei confronti di Potenza. Poi la brama e il desiderio di assumere il controllo dello spaccio nel territorio di Casarano. Montedoro non sarebbe intervenuto dopo l’omicidio. Nessun’attività di intermediazione per spegnere focolai o propositi di vendetta. Avrebbe optato per una strategia dell’attesa. Chi non avrebbe atteso, invece, sarebbe stato Luigi Spennato. Considerato il braccio destro di Potenza, il 40enne avrebbe avvicinato Caraccio e i suoi compagni arrivando persino a schiaffeggiare Luca Del Genio (altro imputato nel processo Diarchia) per un debito di 18mila euro contratto proprio con Potenza e mai onorato. In quell’incontro, inoltre, Spennato avrebbe preteso come parzialmente risarcimento un’auto.
Da qui sarebbe maturato il piano di vendetta. Nel corso di un incontro Del Genio si sarebbe incontrato con Caraccio riferendo la sua intenzione di ammazzare Spennato. L’uomo venne avvicinato il 26 novembre nei pressi sella sua abitazione, alla periferia di Casarano, gravemente ferito con diversi colpi di kalashnikov e lasciato agonizzante per terra. Si salvò per miracolo ma le sue condizioni di salute, a distanza di mesi, sono ormai compromesse.
Guerra di mala, guerra di posizione, guerra di nervi. Montedoro ha confermato la volontà di ammazzare Caraccio perchè temeva per la sua vita. E non appena il boss venne a sapere che la sua vita era a rischio si sarebbe organizzato per ammazzare il 30enne indicato come una persona poco credibile. Avrebbe anche formato il commando della morte ma prima delle pistolettate e del sangue arrivarono i carabinieri che salvarono la vita al 30enne arrestandolo per pochi grammi di droga.
Le altre verità di Montedoro sono contenute nel secondo interrogatorio avvenuto il 4 settembre. In questo secondo incontro con i carabinieri del Nucleo Investigativo e il sostituto procuratore della Dda Guglielmo Cataldi Montedoro ha negato di aver mai fatto parte della cosiddetta organizzazione ribattezzata come Sacra Corona Unita. Lui come Potenza. Ha confermato, però, di aver gestito il mercato della droga prediligendo lo spaccio di cocaina (per il suo elevato valore sul mercato) negando di aver mai messo il cappio ai commercianti della zona con estorsioni e richieste di denaro. Il 42enne ha riferito agli inquirenti di aver sempre combattuto contro chi cercava di imbastire attività estorsive in particolare nella zona di Casarano e nei paesi limitrofi.
Nel verbale, poi, vengono annotati i nomi dei spacciatori al suo soldo, dei fornitori e dei creditori. Un ingente tesoro accumulato con il business della droga sarebbe stato poi reinvestito. Montedoro ha spiegato di aver ripulito i soldi sporchi nell’acquisto di armi e in attività lecite. A Lecce e in provincia così come in Campania, Calabria fino in Sicilia con sortite anche nel nord Italia. Una gestione capillare di società intestate a insospettabili prestanomi tra cui un ex calciatore. Le prime verità di Montedoro, dunque, sono confluite nel fascicolo processuale.
Il 42enne ha parlato fornendo tanti dettagli, elementi investigativi su cui ora gli la Procura antimafia avvierà i dovuti riscontri su fatti di sangue e il riciclaggio di soldi sporchi in molteplici attività mascherate con i volti di insospettabili. Il 23 ottobre il neo pentito ricomparirà in aula. In videoconferenza, dalla località segreta in cui si trova, potrà nuovamente fornire altre verità in attesa della discussione del pm e della sentenza a carico di 13 imputati dai quali il boss si è dissociato. Per iscritto nei verbali in attesa di farlo a voce.
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