ROMA – I fittiani stanno cominciando a sudare freddo. Entro mercoledì bisognerà trovare una soluzione in zona Cesarini, altrimenti il gruppo al Senato è kaput. Sono rimasti in 9 a Palazzo Madama: ne sarebbe bastato uno solo, ma tira molto di più Verdini dell’isolato Fitto. L’abbandono al Senato di Pagnoncelli è una mazzata che si può esprimere in un numero: 500 mila euro di risorse in meno all’anno a disposizione del gruppo. Sono tanti i soldi pubblici che possono essere spesi dai vari gruppi del Senato. Avete capito bene: mezzo milione di euro da spendere in un anno per ogni gruppo, altro che tagli ai costi della politica (sbandierati con i tagli alle Province)! Ma questo è un altro discorso. Per i gruppi di Camera e Senato spendiamo 53,3 milioni di euro l’anno. Ogni senatore vale 67 mila euro l’anno, mentre un deputato vale 50 mila euro: tutti soldi pubblici. Il peso dei contributi è proporzionale alla grandezza dei gruppi. I soldi vengono spesi in comunicazione, pagamento degli stipendi dei dipendenti e in altre iniziative. Giovedì prossimo il Consiglio di presidenza di Palazzo Madama si riunirà per fare il punto della situazione: se il gruppo dei Conservatori e Riformisti non avrà raggiunto le 10 unità, dovranno tutti ritornare nel gruppo misto e addio a uffici e a mezzo milione di euro.
Anche la promessa di un gruppo alla Camera sembra ormai tramontata, perché ce ne vorrebbero 20 per costituirlo: i 12 sono in buona parte pugliesi, mentre Bianconi e Corsaro sembrano quasi con un piede fuori, dopo la lettera che bolla come un fallimento tutto il progetto del «leone anglosassone». Dopo una serie di incontri segretissimi con vari transfughi del Senato, Fitto potrebbe alzare bandiera bianca. Le indiscrezioni parlano di altre defezioni nel gruppo al Senato: addirittura due. Vedremo nei prossimi giorni se si tratta solo di malignità. Il fatto è che Fitto, per ora, ha poche garanzie da dare per il futuro a chi passa con lui. Non riesce a darle nemmeno a chi già è con lui: «il sindaco più amato d’Italia», per esempio, Paolo Perrone, avrebbe voluto già delle garanzie per la corsa al Parlamento, ma niente. Ecco perché il prim