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Le onde gravitazionali e Paola, quella straordinaria salentina con la testa tra le stelle

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ROMA – Paola Leaci, ricercatrice originaria di Novoli, ha partecipato a una scoperta che cambierà la fisica: Einstein aveva ragione, le onde gravitazionali esistono. Proveremo a spiegarvi l’importanza di questa scoperta in maniera semplice, con un’intervista a una ricercatrice che, dopo un’esperienza all’estero, è tornata in Italia e ora lavora presso il Dipartimento di Fisica dell’Università «Sapienza» di Roma, dove partecipa al progetto europeo Virgo. Laureata a Lecce, con un dottorato di ricerca a Trento e una lunga esperienza in Germania, Paola Leaci oggi è protagonista di una grande scoperta.

Perché la scoperta delle onde gravitazionali è una svolta storica per la fisica?

«Le onde gravitazionali, predette dalla teoria della Relatività Generale di Einstein nel 1916, sono increspature dello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce e sono prodotte da accelerazioni di masse a simmetria non assiale.
Le abbiamo osservate direttamente per la prima volta il 14 Settembre 2015, analizzando i dati raccolti dai due rivelatori americani LIGO della collaborazione LIGO-Virgo. Si tratta di un segnale prodotto dalla fusione di due buchi neri –processo questo mai osservato finora– con massa pari a circa 30 volte quella del Sole e distanti più di un miliardo di anni luce da noi. Infatti parliamo di due scoperte: 1) la prima osservazione diretta di onde gravitazionali e 2) la prima osservazione diretta della collisione di due buchi neri che si fondono per formarne uno nuovo.
La scoperta scientifica annunciata costituisce una importantissima conferma della teoria della Relatività Generale di Einstein. Essa apre un nuovo capitolo della Fisica delle Interazioni Fondamentali e inaugura l’Astronomia Gravitazionale, una nuova “finestra” di osservazione dell’Universo, che può fornire informazioni non accessibili ai rivelatori elettromagnetici».

Quali implicazioni potrebbero esserci, dopo questa scoperta, sulla nostra vita?

«Il violento processo di collisione osservato è caratterizzato da un rilascio di energia pari a tre volte la massa del Sole, ma risulta invisibile. Le onde gravitazionali, che sono in grado di attraversare indisturbate profondi strati di materia, risultano quindi l’unico messaggero in grado di fornire informazioni su ciò che è veramente accaduto. Averle trovate significa perciò anche guardare indietro nel tempo e conoscere i dettagli dei primissimi istanti di vita dell’Universo.
Al di la’ delle implicazioni di carattere astrofisico, che sono tante, ce ne sono varie anche in ambito tecnologico e pratico.
Come detto prima, le onde gravitazionali sono predette dalla teoria della Relatività Generale di Einstein. Pochi sanno che le conoscenze derivanti da questa teoria hanno fornito un contributo essenziale alla messa a punto e al grado di precisione ottenibile dalle reti satellitari GPS.
Ci sono inoltre molte analogie tra alcune delle tecniche che noi analisti dati utilizziamo per l’estrazione del segnale gravitazionale e quelle utilizzate nel campo dell’elaborazione digitale delle immagini, che trovano impieghi rilevanti anche nel campo della video-sorveglianza. Questi sono solo alcuni esempi. Insomma, la ricaduta tecnologica è notevole, anche se non immediatamente tangibile».

Perché ci sono voluti tanti anni per verificare l’esistenza delle onde gravitazionali?

«Queste onde sono caratterizzate da un’ampiezza estremamente piccola. Pertanto è necessario osservarle mediante eventi catastrofici e con rivelatori sempre più sensibili, ossia in grado di guardare sempre più lontano. Bene, mettere su strumentazione così sofisticata assieme ad algoritmi di ricerca sensibili e robusti è un qualcosa che richiede tempo e molto molto impegno… non a caso questo risultato è frutto degli sforzi comuni di più di 1200-1300 scienziati (includendo anche colleghi che non ci sono più)».

Ci stiamo avvicinando alla grande scoperta dell’origine dell’Universo? Cosa è successo secondo lei? Le teorie che abbiamo studiato fino ad oggi sono compatibili con questa scoperta?

«Assolutamente sì, siamo davvero vicini! Al momento basiamo le nostre affermazioni su un unico evento. Affermazioni più accurate saranno possibili solo dopo aver rivelato più eventi di onde gravitazionali e – almeno personalmente – sono confidente che ce ne saranno degli altri.
Al momento io ed i miei colleghi stiamo continuando ad analizzare i dati del primo run osservativo di LIGO, conclusosi lo scorso 12 gennaio. Non sappiamo ancora cosa ci troveremo davanti».

Come nasce il progetto che ha permesso questa scoperta e quanto è importante il ruolo dell’Italia?

«Negli anni ’70, sotto la guida dei professori E. Amaldi e G. Pizzella del Dipartimento di Fisica della Sapienza, si è formato il primo gruppo italiano di ricerca delle onde gravitazionali, tra i primi al mondo.
Negli stessi anni compaiono i primi lavori americani sui rivelatori interferometrici di onde gravitazionali. Dopo anni di duro lavoro, includendo l’era delle poco sensibili antenne risonanti, si arriva all’era dei rivelatori interferometrici.
Si iniziano cosi le costruzioni dei rivelatori americani LIGO nel 1994 e nel 1995 quella dell’interferometro europeo Virgo, finanziato per la parte italiana dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare».

Come nasce la sua passione per la fisica e come è diventata ricercatrice a Roma?

«Nasce parecchi anni fa, quando ero ancora piccola e sognavo di capire bene come mai questo pianeta su cui ci troviamo fosse apparentemente così unico. Volevo capire il contesto in cui il nostro pianeta si collocava, insomma i suoi vicini, la Luna e il Sole ad esempio, cosa permetteva che rimanessero proprio lì. Cosa poteva esserci al di là di quello che la mente umana puo’ solo approssimativamente immaginare e così via. Quindi ho deciso di iscrivermi alla Facoltà di Fisica a Lecce e da lì ho maturato un forte interesse per le onde gravitazionali. Dopo la laurea ho vinto un dottorato di Ricerca in Fisica a Trento su argomenti riguardanti le mie onde preferite e da lì, avendo bisogno di crescere ancora di più, ho partecipato ad (e vinto) una competizione che mi ha permesso di lavorare presso i prestigiosi “Max Planck Institut fuer Gravitationsphysik” di Hannover e Golm (Germania). In seguito, data la nostalgia per il mio Paese, ho partecipato al (e vinto) concorso “Rientro dei cervelli – Programmi per giovani ricercatori Rita Levi Montalcini” ed eccomi qui a Roma. Dal 2008 sono un membro della collaborazione LIGO-Virgo. La mia ricerca continua qui, al Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza di questa città».

Pensa che l’Italia abbia fatto abbastanza per il mondo della ricerca o si potrebbe fare di più?

«Penso che si possa fare sempre di più».

Gaetano Gorgoni


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