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Conti correnti svuotati per acquistare auto di lusso: ex responsabile delle Poste condannato a 16 anni

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PARABITA (Lecce) – Svuotavano i conti correnti di ignari risparmiatori per poi acquistare orologi e auto di lusso. Si conclude con cinque condanne per un totale di 46 anni di carcere il processo di primo grado scaturito dall’inchiesta sui conti postali prosciugati a sedici clienti dell’ufficio postale di Parabita. Dopo una lunga camera di consiglio i giudici della prima sezione penale (Presidente Gabriele Perna, a latere Silvia Minerva e Alessandra Sermarini) hanno inflitto 16 anni a Cosimo Prete, l’ex responsabile del settore consulenze dell’ufficio postale di Parabita, già assessore comunale. Per il presunto “deus ex machina” così come è stato definito in aula dal pubblico ministero Giovanni Gagliotta, l’accusa aveva chiesto 13 anni di reclusione contestando l’iniziale accusa di peculato confermata dai giudici; 9 anni e 10 mesi a Marcolino Andriola, 49, di Cellino San Marco (7 anni); 8 anni e 6 mesi a Antonio Silvestri, 41 anni, residente a Casavatore (7 anni) 8 anni ad Andrea Cesarini, 41, di Ladispoli (Roma), (7); 4 anni e 6 mesi a Luigi Cecere, 28, di Casavatore (comune della provincia di Napoli) (6 anni). Gli imputati e Poste Italiane sono stati condannati al pagamento di una provvisionale in favore delle 16 parti civili. I giudici depositeranno le motivazioni nei prossimi 90 giorni. Le accuse, a vario titolo, erano quelle di peculato, truffa aggravata, falsità materiale e riciclaggio.

L’indagine è stata condotta dalla squadra della sezione di pg della polizia di stato specializzata nei reati contro la pubblica amministrazione. Il lavoro degli investigatori culminò ne settembre di due anni fa con l’arresto di sette persone (tra cui proprio Prete finito in carcere). Dopo aver ottenuto i domiciliari l’ex assessore è tornato in libertà a dicembre con un provvedimento disposto dalla Cassazione. I giudici romani avevano depennato l’accusa di peculato. Diverse e circostanziate le accuse mosse all’ex assessore. In particolare, Prete si sarebbe impossessato di un milione e 300 mila euro spariti dal libretto di una donna di origini eritree ma residente a Locri, in Calabria. L’allora responsabile del settore consulenze avrebbe duplicato il libretto della donna eritrea cointestato alla ignara cliente e ad uno degli indagati su cui sarebbero stati dirottati 437mila euro; la fetta più sostanziosa era trasformata in otto buoni fruttiferi postali del valore di 100mila euro ciascuno. Altri 52mila euro sarebbero stati consegnati, sotto forma di vaglia, ad un autosalone di Lecce. Gli indagati avrebbero così acquistato auto e orologi di lusso. Tra i veicoli venduti dalla concessionaria anche una Ferrari 430, un Audi A5, una Bmw e una Golf.

E’ stata una segnalazione dell’ufficio anti frode di Poste Italiane a segnalare l’anomalia. Sono stati così avviati gli accertamenti in collaborazione con il dipartimento di polizia postale di Bari. Ed è emerso l’ammanco sui conti dei clienti. In particolare, facendo leva sul rapporto di conoscenza e di fiducia, Prete avrebbe prodotto alle vittime compaesane attestazione di falsi investimenti finanziari con consegna di un modulo da sottoscrivere. Gli imputati erano assistiti dagli avvocati Davide Dell’Atti, Elvia Belmonte e Cosimo Greco. Le sedici parti civili erano rappresentate in aula dagli avvocati Luca Laterza, Walter Gravante, Francesca Conte, Laura Pisanello, Alessandro GrecoLuca Castelluzzo, Luigina Fiorenza e Giuseppe Gabellone.

Francesco Oliva 


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