LECCE – Qualcuno gli ha cercato l’anima a forza di botte, parafrasando una vecchia canzone di De André: lo stabilirà la magistratura se si è trattato di alcune “guardie bigotte”. La lente d’ingrandimento è puntata su alcuni carabinieri. Ilaria Cucchi ancora oggi non se ne fa una ragione: «Hanno fatto morire mio fratello di dolore. In 140 se lo sono passato tra le mani e nessuno di loro ha saputo guardare oltre il pregiudizio. In quel corpo non c’era più un essere umano. Qualcuno ha lasciato che si spegnesse perché pensava che lo avremmo abbandonato. Il problema di mio fratello era la droga, ma io non volevo abbandonarlo, volevo provarci a farlo uscire fuori. Non riesco a perdonare chi lo ha fatto morire solo. Gli agenti sono stati assolti, ma per me è un fallimento della giustizia. Mio fratello era ridotto a uno scheletro e nessuno ha fatto nulla. Sono strafottenti e consapevoli di quello che hanno fatto, perché mio fratello per loro era un tossico di merda».
La caparbietà di Ilaria Cucchi ha stimolato la magistratura a mettere il massimo impegno per quello che molti definiscono un “omicidio di Stato”, perché Stefano era nelle mani delle istituzioni, «che lo hanno fatto spegnere nonostante fosse entrato in carcere in salute». La sorella non si pente nemmeno di aver sbattuto sui social le foto dei presunti aguzzini. «Ho pubblicato la foto perché mi chiedevo chi può essere stato capace di infierire così tanto su mio fratello, che era la metà di lui». Fabio Anselmo (il legale della famiglia) e Ilaria Cucchi sono in giro per l’Italia per chiedere giustizia: uno stato di diritto deve tutelare tutti e garantire a tutti un trattamento umano e civile. «La nostra non è una crociata contro le forze dell’ordine, che ci hanno dimostrato tanta solidarietà, ma una lotta per il diritto e la verità. In Italia c’è un problema se in 140 non riescono a intervenire mentre un detenuto picchiato sta morendo. Abbiamo un problema culturale“. Scatta l’applauso: la sala del President è gremita e commossa.
Gaetano Gorgoni