INVERNI
La grazia indugia sui lembi del morbido schamè, che triste s’accartoccia ai primi rivoli del cielo damascato;
il grigio andirivieni disegna il tempo del destino che non si oppone all’estro del comando ma docile ripara all’impetuoso vento dell’ebro suo patron;
il fuoco alla mitraglia scandisce il senso dell’algido camino; schioccano le dita alla (lucida) follia parlante dei fulminanti motti;
il grevitar s’alluma al suo segnale oscuro;
poi s’incammina, procede e fa filotto andando a stroppiciar le bianche ciglia, colme di fumosa pece; illude e fa fagotto, passando insieme un tempo lungo lungo, dove non c’è confine tra luci e grevità, perché è un regalo che dissero i miei nonni: proviene da lontano ed accompagna i sogni di (tanta) bella gioventù; s’accorcia, si rimette, di fuori lampa e non promette niente; l’inverno rintavola ogni cosa, aggiusta tutto e tiene sempre di riserva un posto, anche per chi c’è stato ed ora non c’è più.
VITE FERMATE
Veloci le vie del paradiso, dissolvono gli amori già presenti;
ritorna come giada quell’intimo penar;
il tempo si è fermato con pigro chiocciolar;
la vita si è fermata svilita dai silenzi;
la forza del destino riprende il suo vigor;
estremo, duro come ghiaccio, non supera di poco l’infinito;
germoglia come grano nero un pavido ristoro,
ma niente si è concluso nei fermi di quel cuore,
se non tormento e chiasso nei giorni vecchi e disillusi.
RITORNI
Vacile e profonda, come sinuoso letto al fiume, corre in preda ai suoi tesori, la delittuosa polpa di ardente gioventù;
poi segue l’altipiano nell’umido salir di rocce bianche, coi passi svelti, poi sferza, poi rompe, poi cangia il suo color, negli anni freddi, nei miti colli, nei dolci suoi pendii; d’un tratto si ritrae, si trova bello, si volta, non fa micco, s’uccide mille volte per far presto;
ti scuote quell’intimo morir, quei silenti salti e quei sussulti dell’amor schiavi; rassetta e s’impigrisce nelle ore della sera, magari prega al buio, di notte in notte, finchè qualcuno non ritorni, per dare aiuto all’animo malato, per incurar nell’anima dolente, un rapido mutar di quanto è fatto, per dire presto, non voglio più morir.
AVVOCATO PIETRO RIPA