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Massacrò coppia di coniugi nel letto: condannato all’ergastolo Vincenzo Tarantino

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duplice-omicidio-porto-cesaPORTO CESAREO – “Ergastolo”. La parola sinistra e chiara è risuonata nell’aula di Corte d’assise poco dopo le 14,30. Il carcere a vita è stato inflitto Vincenzo Tarantino, il 52enne originario di Manduria, accusato del duplice omicidio dei coniugi, Luigi Ferrari Maria Antonietta Parente, di 54 e 55 anni, brutalmente uccisi nella loro camera da letto nella notte tra il 23 e il 24 giugno di un anno fa a Porto Cesareo. La sentenza è stata emessa dal gup Michele Toriello. Il giudice ha condannato l’imputato con l’accusa di duplice omicidio volontario ma ha escluso l’aggravante della crudeltà riconoscendo, invece, il nesso teleologico, violazione di domicilio assorbita nell’accusa di rapina pluriaggravata. Tarantino è stato condannato inoltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dalla potestà genitoriale. Il giudice ha anche disposto una provvisionale di 100 mila euro in favore delle parti civili Margherita Parente, Giovanni Parente, Alberina Antonia Ferrari, Silvana Parente e Salvatore Marsico assistite dagli avvocati Giuseppe, Michele e Giulia Bonsegna, Vincenza Raganato, Gianluca Coluccia, Francesco Spagnolo e Fiorino Ruggio. Subito dopo la lettura del dispositivo i familiari si sono lasciati andare ad un lungo applauso liberatorio. 

Si chiude con il massimo della pena il processo (con rito abbreviato condizionato da una perizia psichiatrica sull’imputato che ha accertato come l’imputato fosse sano di mente) su uno dei fatti di sangue più efferati compiuti nel Salento negli ultimi anni. Il giudice si è così allineato alla richiesta invocata dal pubblico ministero Giuseppe Capoccia (ora procuratore capo della Repubblica a Crotone).

L’intricata matassa di una terribile mattanza venne sbrogliata in breve dall’acume investigativo dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce e dai colleghi della Compagnia di Campi Salentina che, in breve, cristallizzarono la scena del crimine. Il duplice omicidio maturò non appena Tarantino venne scoperto e riconosciuto dalle sue vittime. Le conosceva entrambe. Forse il 52enne originario di Manduria covava anche un odio profondo nei confronti della donna ritenuta responsabile della fine della relazione con la nipote della coppia. Ma quella mattina non doveva essere una vendetta. L’uomo, nelle sue convinzioni, era certo di non trovare nessuno in casa. Forse doveva compiere un furto culminato in una brutale esecuzione. Scoperto e riconosciuto Taratino avrebbe perso la testa massacrando la coppia.

Ferrari venne ucciso nel disimpegno. Aveva lottato, si era difeso, aveva cercato di parare i fendenti sferrati con il piede di porco. Invano. Ben trenta, infatti, i colpi furono inflitti con un piede di porco a Luigi Ferrari, secondo quanto stabilì l’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Vaglio e dai carabinieri del Ris. Le indagini scattarono nell’immediatezza di un fatto di sangue che gettò un’intera comunità nella paura e nella disperazione.

Furono ascoltati vicini di casa, parenti e dopo poche ore nella stazione dei carabinieri di Porto Cesareo il nome di Tarantino era già segnato sul taccuino degli investigatori. Subito dopo l’arresto il presunto assassino ha sempre professato la sua innocenza. Mai un passo indietro, mai un rigurgito di resipiscenza. Fermo sulle sue iniziali posizioni. L’assassino non ha tradito alcun segno di cedimento. Anzi. Nei giorni che hanno preceduto la requisitoria Tarantino è stato anche ascoltato dal magistrato in carcere e scaricò su altri le responsabilità di quel bagno di sangue. “Un verbale” sottolineò la pubblica accusa “al limite dell’oltraggio non al pm ma al senso di decenza in un processo tragico”.

La sentenza ha tenuto conto anche degli esiti della perizia del giudice e della consulenza di parte giunte a conclusioni prevedibilmente opposte. Per il Tribunale Tarantino era capace di intendere e di volere, in grado di mentire e che capiva benissimo. Per la difesa, invece, le capacità del 52enne erano scemate legate all’abuso di cocaina. In giornata l’avvocato dell’imputato, il legale Giada Trevisi ha tentato l’ultima (disperata) carta sostenendo che l’impianto accusatorio non era tale da giustificare oltre ogni ragionevole dubbio perché c’erano tanti spazi di incertezza su alcuni coni d’ombra nell’indagine non chiariti. Inoltre Tarantini era un cocainomane e non aveva la capacità di intendere e di volere al momento del fatto.

In attesa del deposito delle motivazione riecheggiano ancora le parole del pm Capoccia pronunciate nel corso della sua requisitoria: “Signor giudice, finchè vivo non avrò dubbi sul colore di questo processo! Sul colore di quella casa, sul colore dei pavimenti, sul colore di quelle povere vittime! Rosso, rosso, rosso sangue, tutto rosso sangue. Non era, come talvolta si dice, un lago di sangue! No! Era tutto sangue! I corpi, i pavimenti, i muri, le lenzuola, il disimpegno…tutto!! Anche l’aria di quella casa”.

Francesco Oliva 


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