NARDO’ (Lecce) – Il fenomeno del caporalato finisce ancora una volta sotto la lente della Procura. L’emergenza è presente sul territorio salentino. I recenti riscontri investigativi confermano come il Salento continui a rappresentare un crocevia e un approdo per tanti migranti e non solo poi sfruttati nei campi. Ci sono due indagati con l’accusa di caporalato nell’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Paola Guglielmi. Si tratta di un troncone parallelo all’inchiesta avviata dopo la morte del bracciante sudanese Mohammed Abdullah il 20 luglio scorso stroncato da un malore mentre raccoglieva pomodori nelle campagne tra Nardò e Avetrana. L’accusa di caporalato è contestata per il momento a Giuseppe Mariano, 74 anni, di Porto Cesareo e a mediatore senegalese che avrebbero reclutato manovalanza a basso prezzo da sfruttare poi nei campi.
L’inchiesta si sta allargando a macchia di leopardo sulla scorta delle indagini condotte dai carabinieri del Ros e dagli ispettori dello Spesal. Gli investigatori hanno depositato una prima informativa sul tavolo del magistrato inquirente. In tutti questi mesi sono state sentite decine e decine di lavoratori italiani e stranieri a sommarie informazioni. Il quadro emerso sarebbe a tinte fosche. Gli incroci di testimonianze raccolte dagli investigatori hanno fatto convergere l’attenzione sui ruoli ricoperti dal cittadino senegalese e dal titolare dell’azienda per cui lavorava Mohammed. Entrambi avrebbero gestirebbe le redini del reclutamento. L’indagine non è stata ancora completata. Sono stati disposti ulteriori accertamenti su cui gli investigatori mantengono il massimo riserbo. Sul tavolo del magistrato è stata intanto depositata anche una consulenza a firma dell’ingegnere Claudio Leone sui contatti telefonici del mediatore senegalese. E sarebbe emerso materiale molto utile.
Lo sfruttamento nei campi pare quindi un fenomeno per nulla debellato nel Salento nonostante l’imponente operazione di alcuni anni fa ribattezzata “Sabr”. Parallelamente proseguono anche gli accertamenti avviati sulla morte del lavoratore africano. L’accusa di omicidio colposo viene contestata oltre che al mediatore e a Mariano anche alla moglie Rita De Rubertis, titolare dell’azienda per cui Mohammed lavorava. Quel giorno la colonnina di mercurio sfiorava i 40 gradi. Il 47enne era impegnato nella raccolta e nel carico di pomodori all’interno di apposite vaschette. Senza mai fermarsi. Un lavoro meccanico e sfiancante. Fino a quando Mohammed non ha avvertito un malore che non gli ha lasciato scampo.
Francesco Oliva