SALENTO . Il caporalato torna al centro delle discussioni istituzionali con la proposta di inasprimento della legge per combatterlo dei ministri Martina e Orlandi. Le nuove misure che i rappresentanti del Governo vorrebbero introdurre prevedono misure quali la confisca dei beni per chi sfrutta i lavoratori (come avviene per i mafiosi) commettendo il reato di caporalato (con l’introduzione del reato di intermediazione illecita) ed inoltre, la responsabilità in solido di chi ha anche tratto vantaggio in modo indiretto dal lavoro di quella manodopera sfruttata.
Secondo quanto dichiarato in un’intervista ad Adnkronos da Oliviero Fortis, responsabile Immigrazione della Caritas, “inasprire le pene può rappresentare un provvedimento di breve durata, non basta infatti colpire i ‘caporali’ o i datori di lavoro disonesti, serve piuttosto “creare una cultura della legalitá” intervenendo a vari livelli, ad esempio, per dare la forza ai lavoratori di denunciare.
“Il governo dopo le tragedie di questa estate ha raccolto la sfida ma certe situazioni si conoscono da sempre” denuncia Forti citando il caso del “ghetto” di Rignano Garganico, in provincia di Foggia. Una baraccopoli dove i braccianti stranieri, spesso accompagnati anche dalle famiglie, vivono in condizioni igieniche inaccettabili, sotto tende di plastica e fogne a cielo aperto. Ma non è l’unico caso di forte emarginazione a cui si assiste da anni, senza che le istituzioni intervengano con decisione, c’è il caso emblematico di Rosarno, alcune situazioni simili si verificano a Nardò in Puglia, dove tra l’altro, la Caritas è presente con uno dei suoi dieci presidi diocesani.
“C’è una cultura diffusa di questo fenomeno che non desta allarme sociale ma viene vissuto quasi come la normalità – continua Forti – e invece, dovrebbero essere mandati gli ispettori a verificare certe condizioni”.
“Noi stiamo tentando una collaborazione con le istituzioni per una presenza stabile sul territorio con i nostri presidi, soprattutto al Sud, dove forniamo assistenza a geometria variabile agli immigrati anche se il Progetto Presidio è aperto a chiunque, anche ai lavoratori italiani, – spiega ancora Forti – dai permessi di soggiorno all’assistenza legale, da esigenze abitative a interventi sanitari con operatori e volontari che sono ben identificabili attraverso l’abbiglimento, i pullmini e tesserini identificativi. Si tratta in sostanza di sportelli mobili”.
Gli operatori di Presidio, figure specializzate (assistenti sociali, legali, psicologi, medici, esperti del settore) e volontari, assicurano tutela e assistenza anche attraverso un’azione capillare di informazione volta a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. A sostegno di queste attività è stato implementato un database che garantisce una circolazione delle informazioni (profilo utente, storia, bisogni ecc.) tra i vari Presidi utile per fornire una assistenza continuativa ai lavoratori che si spostano da un territorio all’altro in base alla stagionalità. Nonostante il Progetto Presidio, giunto alla seconda stagione, la Caritas non azzarda stime su quanti siano i lavoratori vittime del caporalato e, tantomeno non possiede un rilevazione delle morti che possono avvenire “sui campi ma anche nelle baraccopoli, dopo lo stress accumulato durante il giorno. E’ impossibile fare un censimento dei morti ‘invisibili’, ma sono tanti” conclude Forti.
Sdl