VOLTA LA CARTA e leggi le pagine della vita – Nel riverbero di una musica che accorda le sue note sul bel testo di una canzone di De Andrè, mi piace condividere, in questa rubrica, alcuni miei scritti con l’intento di collocare stralci di vita in pensieri ed emozioni, che si alternano, di volta in volta, sul foglio virtuale rilegato dal filo dei silenzi che animano l’universo femminile.
Brevi componimenti, in cui il sesto senso gioca l’importante ruolo di collettore dell’Essenziale, laddove invece il tempo, frantumandosi, lo disperde.
Dalla poesia alla prosa, nuances in chiaro scuro di immagini in parole.
Buona lettura…
Gli inverni erano duri in casa
Il braciere ardeva la sera e raccoglieva i pensieri del giorno, non sempre positivi. La convivenza tra cognate non era facile. La “tabacchina” Maria si svegliava molto presto la mattina per recarsi a lavoro. Lì, infilzava nello spago le foglie essiccate del tabacco. Non poteva chiacchierare tanto con le compagne, come le piaceva fare, ma in compenso ascoltava la musica che le teneva sveglie, sognando il grande amore. Sognava di fuggire via da quella casa, lontano da quella cognata così dispettosa che, al mattino, le faceva trovare il braciere sempre spento. Lei, si alzava piano dal letto per non svegliare gli altri e, infreddolita, apriva leggermente l’imposta perché un filo di luce illuminasse il piccolo specchio dove rifletteva la sua immagine, mentre ripassava le labbra di rosso e pettinava i capelli neri e ricci. Anna la spiava nella penombra ed un sorriso sarcastico le si disegnava sul viso mentre imitava la cognata che civettava davanti a quel pezzo di specchio e allargava la bocca per ammirare la sua splendida dentatura.
Quando Maria usciva di casa, contenta di sentirsi una lavoratrice, chiudendo la porta di casa dietro di sé, anche Anna usciva dall’ombra e dava inizio alle sue mansioni casalinghe, contenta di essere la “donna di casa”.
Giovane madre, moglie, donna, a volte ancora figlia, raccoglieva i lunghi capelli castani nelle forcine d’osso, indossava il grembiule da lavoro ed era lei, Anita! Là fuori, “nell’ortale”, dove i muri ardevano d’estate e generavano le verdi piante del cappero, ciondolanti al soffio della brezza e d’inverno, invece, s’impregnavano d’acqua piovana ed emanavano quel tipico odore di muschio che saturava l’aria, l’aspettava la cofana, una larga vasca di coccio, con un foro sul fondo nel quale adagiava i panni da lavare. Tirava su le maniche del vestito, e dava una prima strofinata “sullu laturu” , batteva e sbatteva con vigore i panni sulle scanalature dell’asse in legno, strofinava per eliminare le macchie, doveva riuscirci perché era suo compito, perché lei era brava. Poi, passava alla seconda fase: nel cofano. Lì, ricopriva i panni di cenere e li inondava d’acqua lasciandoli scolare. Ripeteva l’operazione più volte, aggiungendo scorse d’uovo, foglie di alloro fino a quando l’acqua, che fluiva dal foro, non risultasse limpida e pulita. Queste operazioni occupavano giornate intere, quasi che il tempo fosse scandito dalla lenta purificazione dell’acqua che portava via con sé tutto il sudiciume dei giorni consumati.
Anita stendeva il bucato al sole, sui fili di ferro, accuratamente fermato con le mollette di legno. Nelle giornate ventose, le lenzuola erano ali di gabbiano che sfidavano il vento, soccombendo poi, si arrendevano piegate su se stesse, come ingabbiate, attorcigliate sui fili.
E poi arrivava il momento di liberarle, passarle con meticolosa cura sotto la piastra calda del ferro a carbone e di adagiarle finalmente sul letto. Anita era soddisfatta del suo lavoro, quelle lenzuola immacolate la ripagavano delle sue fatiche regalandole per giorni e giorni un gradevolissimo profumo. E le camicie di Antonio erano perfette, i colletti ben inamidati, sì, quelle camicie erano il pegno del suo amore!
Claudia Petracca – Testo tratto da La Strada del Vento, romanzo
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