SURBO (Lecce) – Sulla duplice intimidazione ai danni della famiglia del sindaco di Surbo indaga la Direzione Distrettuale Antimafia. Potrebbe esserci l’ombra della criminalità dietro la profanazione della tomba del nonno del primo cittadino e i cinque proiettili lasciati davanti allo studio del fratello del sindaco. Il procuratore capo Cataldo Motta ha affidato le indagini al sostituto Guglielmo Cataldi, magistrato di lungo corso ed esperto conoscitore delle dinamiche criminali nel comune nord salentino spesso culminate in intimidazioni all’indirizzo di esponenti dell’amministrazione comunale. Negli ultimi anni, Cataldi ha collezionato una serie di successi coordinando delicate indagini antimafia polverizzando di fatto il clan capeggiato dall’ex latitante Salvatore Caramuscio.
Allo stato, quindi, non è escluso che i raid ai danni della famiglia Vincenti possano essere stati compiuti dalla criminalità del posto. Un’ipotesi al momento su cui, però, gli investigatori hanno iniziato a lavorarci su. Si scava, quindi, su possibili pressioni ricevute dalla famiglia del sindaco Fabio Vincenti per il duplice raid compiuto nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi.
Chi sia stato, quale sia stato il movente e l’obiettivo della doppia intimidazione lo stano accertando i carabinieri del Norm di Lecce, guidati dal maggiore Pasquale Carnevale e dal tenente Rolando Russo. Il sindaco, il padre e il fratello del primo cittadino sono stati a lungo ascoltati dagli investigatori subito dopo le minacce ricevute. I Vincenti hanno escluso di aver mai ricevuto minacce per la loro attività, richieste di denaro o favori di differente matrice. Da quel giorno non sono stati più convocati dagli investigatori.
E che possa esserci la mano della criminalità ci sono alcuni precedenti. Già in passato la famiglia del sindaco è nel mirino degli attentatori. Nel maggio del 2009 venne incendiata la lavanderia della moglie di Fabio Vincenti all’epoca assessore. Il responsabile, il 35enne Cristian Rizzo, finì in manette e condannato con una sentenza passata in giudicato. Dagli atti processuali emerse anche il movente: il giovane agì per ritorsione per non aver ottenuto un posto di lavoro. Nel 2012, invece, mani rimaste ignote posizionarono una molotov davanti al portone dello studio dell’allora vicesindaco. A distanza di tre anni due nuove intimidazioni. Ecco perché le indagini appena avviate hanno imboccato una ben precisa pista investigativa che potrebbe consentire di rilevare eventuali pressioni della criminalità.
Francesco Oliva