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Avvocati specializzati: sarà migliore la giustizia italiana?

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avvocati 18 casLECCE – Esattamente il 14 agosto scorso è stata introdotta l’ennesima novità concernente il “pianeta giustizia” e riguardante, più precisamente, gli avvocati e la possibilità/facoltà ad essi attribuita di potersi specializzare in una tra 18 aree del diritto.

Si tratta di un Regolamento che spiega concretamente quanto indicatodalla Legge Professionale del 31 dicembre 2012, n. 247 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 18 gennaio 2013, n. 15) intitolata “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” e fondata, a sua volta, sui macro principi dell’obbligo di formazione ed aggiornamento professionale più serrati e di un maggiore rigore etico.

Ora, fatta salva la –personale- riflessione sull’inopportunità o intempestività di emettere riforme o novità di rilievo nel breve periodo estivo del mese di agosto, reso, solo per noi avvocati, ancor più breve da un’altra riforma recente che ridusse il tempo di sospensione feriale dei termini (n.d.a.: una sorta di pausa tecnica dalle urgenze processuali e procedimentali quotidiane) da 45 giorni a 30 giorni, si deve segnalare che su tale novità si sono già aperti scenari di accese discussioni.

Da una parte, vi sono, infatti, coloro che sostengono che il codice etico degli avvocati, la serietà professionale ed il buon senso già imponevano tali principi per diventare ed essere un “buon avvocato” e che alla specializzazione si giunge solo tramite lo svolgimento quotidiano del proprio lavoro.

AVV. TANIA RIZZO

L’avvocato Tania Rizzo

C’è chi replica, dall’altra parte, che fu la stessa avvocatura italiana, durante un congresso plenario di tre anni fa, a ritenere di dover cristallizzare questi principi in articoli di Legge, manifestando ancora più serietà e rigore nell’amministrazione interna della categoria.

Ad una prima lettura, pare, a chi scrive, che si possa condividere la ratio di questa norma, cioè la ricerca di una sempre maggiore crescita professionale anche settoriale in una specifica materia, se e quando l’avvocato ne avverte l’esigenza per il proprio operato e per la propria clientela: per esempio, se l’avvocato Rosso Matto tratta per lo più e da anni processi in diritto ambientale o in diritto penale, questo nuovo Regolamento gli consentirà di acquisire il titolo di avvocato “specializzato in diritto ambientale”, certificando pubblicamente tale caratteristica professionale.

Alcune riflessioni, tuttavia, s’impongono sulle modalità espresse nel Regolamento per richiedere ed ottenere il titolo specialistico.

Non è molto convincente, anzitutto, la previsione che i corsi specializzanti possano essere, ancora una volta, onere delle Università, quasi che gli avvocati di elevata caratura culturale e professione non possano insegnare agli altri colleghi quel ramo del diritto utile alla specializzazione, peraltro con l’aggiunta dei dati esperienzialipiù pratici, più strategici in quella specifica materia.

Non convince, e non piace, che questi corsi siano a pagamento e che tali costi non siano calmierati, ponendo una macroscopica differenza tra avvocati economicamente benestanti e avvocati meno ricchi (magari per semplice crisi temporanea o solo per ritardi nei pagamenti dei clienti).

Lascia, poi, l’amaro in bocca, o il grave dubbio che chi abbia redatto il Regolamento sulle specializzazioni non conosca concretamente lo svolgimento della professione forense nel quotidiano per tutti gli avvocati (e non solo per un ristretto gruppo di principi del foro…)quando si legge che, per ottenere il titolo specializzante, serviranno almeno 8 anni di attività professionale e la dimostrazione documentale di aver svolto almeno 15 incarichi annui di “rilevante complessità” ma non sulla medesima questione giuridica: come a voler dire, insomma, che se già si svolge la propria attività su cause e processi con lo stessa questione giuridica e se, quindi, si è già specializzati “di fatto”, non ci si può avvalere di tali pratiche per ottenere il titolo formale.

Infine, ci si chiede come mai la scelta di così pochi settori specializzanti (solo 18?) e come mai l’assenza, in questo piccolo elenco di settori professionali con una propria autonomia (si pensi al diritto militare).

Pare a chi scrive, insomma, che il Regolamento sulla specializzazione forense, nella formulazione odierna, rechi in sé lacune e difetti.

Tuttavia, essendo una novità assoluta nel panorama forense italiano, se ne dovrà attendere l’applicazione effettiva per poterne valutare possibili correttivi ed aggiustamenti.

Soprattutto e prima di tutto, però, si dovrà riflettere se e quanto il Regolamento sulle specializzazioni forensi, così come redatto,esalta,oppure no,la meritocrazia, la bravura oggettiva degli avvocati, offrendo le stesse possibilità a tutti così che la “partita professionale”sia vinta da chi merita e non da chi paga.

S’impone, infine, un auspicio di carattere generale: questo Regolamento non risolve (ma non avrebbe potuto farlo, stante la sua natura) la questione dirimente per giungere alla giustizia di qualità: cioè che avvocati e magistrati si formino insieme e si specializzino, su ciascun ramo di diritto e, in seguito, svolgano insieme l’aggiornamento professionale, così che si giunga ad offrire al cittadino una giustizia di qualità a tutto tondo.

Una “specializzazione di giustizia” che si deve pretendere tutti insieme, avvocati, magistrati e cittadini.

Avv. Tania Rizzo, Coordinatore Regione Puglia dei Giovani Avvocati di A.I.G.A.


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