C’è chi si alza la mattina alle 3 per andare Bari, alcuni hanno lasciato le case in affitto, sicuri che sarebbero tornati a lavorare vicino casa. “Dopo aver vinto il concorso di mobilità”, mentre si sentivano già a casa, è arrivata la doccia fredda per 60 infermieri che lavoravano nel Barese: tutto è bloccato. Dopo gli avvicinamenti regionali, si sarebbe proceduto a quelli fuori regione, ma tutto è fermo. Un gruppo di infermeri ha incontrato il dirigente Sanguedolce, presso l’Asl di Lecce senza riuscire a ottenere risposte: tutto è stato rimandato a un nuovo incontro. Tra di loro ci sono madri con tre bambini, che lasciano la loro famiglia di notte per andare a lavoro.
“Il diritto alla mobilità non si tocca” – gridano, muniti di striscioni. “Dopo più di dieci anni di lavoro fuori casa ho ottenuto la chiamata per mobilità da parte dell’Asl Lecce lo scorso luglio. Insieme a me ci sono più di 60 persone che hanno ricevuto questa chiamata – racconta Paola Cocciolo – Per una serie di rimbalzi burocratici e di scarico di responsabilità il nulla osta ci è stato negato e siamo da più di otto mesi in una situazione di stallo. E’ in gioco il nostro diritto di tornare a casa dopo anni di lavoro presso vari ospedali in giro per l’italia, dopo un regolare concorso pubblico vinto e dopo una legittima graduatoria di mobilità. I retroscena di questa vicenda hanno dell’incredibile soprattutto se si considera che si nega la possibilità di una vita vicino casa a giovani madri che sono costrette ad alzarsi alle 3.30 di notte, a lasciare i loro figli per raggiungere il posto di lavoro e a sostenere 400 km al giorno.
L.B.