Nei primi decenni del XIX secolo, la Provincia di Terra d’Otranto veniva sconvolta da un fermento insurrezionale di vasta portata. Primo attore di tale rivolta era un prete di Grottaglie, Ciro Nicola Annicchiarico che, per una serie di vicissitudini, si era posto a capo di una banda di briganti, seminando un vero e proprio scompiglio fra le forze dell’ordine, dapprima quelle francesi, successivamente quelle borboniche.
Nato a Grottaglie verso il 1775 da una famiglia del ceto civile, Ciro Annicchiarico aveva intrapreso gli studi ecclesiastici nel Seminario di Taranto, sotto la guida del vescovo Mons. Giuseppe Capocelatro e dell’abate Giambattista Gagliardo, simpatizzante delle idee giacobine diffusesi con la Rivoluzione Francese. Tali idee si sarebbero consolidate con l’arrivo, nella città ionica delle truppe francesi del generale Choderlos de Laclos, giunte in loco nel 1803, in seguito agli accordi fra il governo francese e quello napoletano e che portarono all’occupazione delle Province di Terra d’Otranto e di Terra di Bari. Il generale sarebbe morto a Taranto qualche mese dopo per dissenteria, a quanto riferisce la storia, tuttavia il sottoscritto, considerate l’eccessiva ghiottoneria francese per i frutti di mare e la notevole abbondanza di questi nella città suddetta, sarebbe più propenso ad attribuire il decesso del militare francese ad un’abbondante scorpacciata di cozze tarantine. A parte questo, il generale Laclos era anche l’autore del best-sellers del momento, il romanzo epistolare “Les Liasons Dangereuses,” Le Relazioni Pericolose, in cui venivano descritti i perversi e cinici giochi passionali del Visconte di Valmont e della Marchesa di Merteuil.
Il testo era stato letto anche da Ciro, come anche da altri futuri ecclesiastici. Rientrato nella cittadina natia al termine degli studi, in verità piuttosto brillanti, l’Annicchiarico entrò nel Capitolo della chiesa del luogo. Fu qui che Don Ciro intraprese una relazione sentimentale clandestina con una giovane vedova di Francavilla Fontana, tale Antonia Zaccaria detta “la Curciola,” che oltre a lui pare concedesse i suoi favori anche ad un altro prete, amico dell’Annicchiarico, Don Giuseppe Motolese, e ad uno studente di medicina, Giuseppe Maggiulli, nipote dell’arciprete. Il 10 giugno 1803, secondo alcune testimonianze dell’epoca, un violento alterco sarebbe scoppiato nella sagrestia della chiesa fra Ciro Annicchiarico e Giuseppe Motolese, con grandi difficoltà separati da altri ecclesiastici, prima che giungessero alle mani. Il 16 luglio, però, il Motolese veniva pugnalato mortalmente da un sicario incappucciato sotto l’arco della “Madonna del Lume,” nei pressi dell’abitazione della Zaccaria, al termine della processione della Madonna del Carmine.
Le accuse cadono subito sull’Annicchiarico anche se secondo diverse opinioni, il delitto sarebbe imputabile al Maggiulli, primo perché l’Annicchiarico, avendo partecipato alle celebrazioni, non poteva trovarsi incappucciato, per ovvii motivi logistici, sotto l’arco, secondo perché subito dopo l’omicidio il Maggiulli avrebbe fatto le valigie scomparendo dalla cittadina. Il delitto venne comunque sfruttato dalle fazioni politiche infatti quella realista, cui faceva capo il padre del Motolese, accusò l’Annicchiarico dichiaratamente giacobino. Arrestato e processato, Ciro fu condannato a 15 anni nelle carceri di Lecce tuttavia, dopo una prima evasione andata male, dopo quattro anni il secondo tentativo veniva coronato dal successo. Per l’occasione, approfittando dell’amicizia sorta col carceriere e del fatto che, per la sua cultura era divenuto precettore all’interno del carcere, si travestì da avvocato, riuscendo ad evadere con indifferenza mentre discuteva di diritto con un ragazzo complice, sotto il naso delle guardie. Rientrato a Grottaglie, approfittando del clima di confusione politica susseguente all’ascesa sul trono di Napoli di Giuseppe Bonaparte, Don Ciro provvide ad accattivarsi le amicizie delle autorità militari del luogo, in particolare del brigadiere francese Bourguignon, conducendo una vita normale e tranquilla.
Ciò non era gradito al padre del Motolese che in tutti modi cercò , invano, di farlo arrestare di nuovo, finché finalmente non riuscì a mobilitare il tribunale di Lecce per emettere un mandato di cattura, nel 1813. Per evitare spargimenti di sangue si ricorse ad un tranello: il brigadiere Bourguignon avrebbe invitato a cena Don Ciro presso la locanda di una certa Antonia Achille, che concedeva i suoi favori ad entrambi, quindi ad un segnale convenuto le guardie avrebbero aperto il fuoco sul prete. Quella sera Don Ciro, o come dicevano i suoi compaesani “Papa Giru” portò con sé il fratello minore Emanuele. Al segnale convenuto i gendarmi scaricarono le salve di fucile contro il prete mancandolo clamorosamente ma, in compenso uccisero Emanuele. Ciro fuggì dandosi alla macchia e si pose al comando di una banda di disertori, seminando il terrore per tutta la provincia. È pur vero, tuttavia, che all’epoca qualsiasi misfatto veniva addebitato a lui, a prescindere dalla sua reale partecipazione. La prima vittima fu il padre del Motolese, ammazzato dopo pochi giorni dalla fatidica cena con una fucilata nella schiena.
Nel 1815, con la sconfitta nella Battaglia di Tolentino, cadeva il regime di Gioacchino Murat e sul trono di Napoli ritornava Ferdinando IV di Borbone, divenuto Ferdinando I delle Due Sicilie. Don Ciro presentava subito al sovrano le sue giustificazioni, sperando in un’assoluzione regia, tuttavia la risposta fu un ulteriore “decreto di fuorbando”. A questo punto si realizzò la svolta politica del prete brigante. Dopo aver preso contatti con le logge carbonare e con quelle dei Filadelfi di Terra d’Otranto che lo investirono del comando militare, Don Ciro fondò la setta dei “Decisi”, il cui scopo era quello di costituire la “Repubblica Salentina”, primo nucleo di una più grande “Repubblica Europea”, proponendosi l’abbattimento di tutti i troni, fossero essi regali, imperiali o papali. Il vessillo era il tricolore giacobino azzurro, giallo e rosso, mentre il sigillo rappresentava alcune folgori che colpivano una corona regale, una imperiale ed una tiara papale. Per entrare a far parte dei “Decisi” bisognava effettuare dei riti particolari, vagamente ispirati a quelli massonici ed all’adepto veniva rilasciata una patente di “Deciso” per la quale, secondo quanto affermato dal generale Church, incaricato di debellarli, veniva utilizzato come inchiostro sangue umano.
Tuttavia tale teoria non è credibile. Dopo aver sobillato le campagne, però, la setta non ricevette l’appoggio promesso dai carbonari che alla fine si tirarono indietro, scaricando tutte le responsabilità sul prete brigante. Questi perdette a poco a poco quasi tutti i suoi compagni di lotta finché, dopo un’accanita resistenza alla masseria “Scasserba”, nei pressi di San Marzano, durante la quale con altri due compagni tenne testa ai reparti militari incaricati di prenderlo, si consegnò alle autorità e fu condotto in Francavilla Fontana dove, il giorno successivo veniva fucilato dopo un sommario processo. Terminavano così, l’8 febbraio 1818, l’avventura e la vita di “Papa Giru”, il prete brigante e cominciava la sua leggenda.
Cosimo Enrico Marseglia
BIBLIOGRAFIA
- Church “Brigantaggio e Società Segrete” Capone Editore & Edizioni del Grifo Lecce 2005
- Quaranta “La vera storia del prete brigante Don Ciro Annicchiarico (1775-1818)” Edizioni del Grifo Lecce 2005
- Quaranta “Un prete brigante Don Ciro Annicchiarico (1775-1818)” Edizioni del Grifo Lecce 1991 (La tavola in apertura è tratta da quest’ultimo testo)