ROMA – In queste ore Raffaele Fitto cerca di rinvigorire il suo «leone ferito» dall’abbandono di Pagnoncelli. Si affastellano incontri su incontri per coprire la falla del gruppo al Senato, perché, se i Conservatori e Riformisti resteranno in nove, dovranno dire addio a uffici e contributi: finirebbero di nuovo nell’anonimo gruppo misto. Un vero guaio. Il giovane partito di Fitto deve frenare l’emorragia, inserire nuovi militanti. Quella romana è la vera partita per la sopravvivenza, poi ci sono le amministrative, che sono un’altra pericolosa incognita. Un partito nazionale ha bisogno di soldi e ora non c’è più Berlusconi ed è cambiata anche la legge sul finanziamento ai partiti. Intanto, avanza il malumore. Anche i fittiani doc, quelli pugliesi, si guardano intirno. Paolo Perrone, che nelle scorse comunali ha dovuto combattere con Fitto per essere candidato nuovamente a sindaco del Comune di Lecce (concessione fatta solo grazie alle primarie) e che in campagna elettorale non perdeva occasione per rinfacciarglielo, ha voglia di andare avanti.
L’attuale sindaco, in effetti, in questi anni si è emancipato dal vertice del suo partito, pur essendo un fittiano doc da almeno 30 anni, e ha costruito con i suoi fedelissimi una specie di corrente autonoma. Perrone non accetta che la sua ascesa politica venga sacrificata sull’altare del leone anglosassone e chiede a Raffaele Fitto certezze sulla sua futura candidatura al Parlamento, mentre prepara le sue liste per le comunali leccesi del 2017. Il leader di Maglie, però, non è in grado di garantire nulla: isolato com’è in questo momento, senza importanti alleanze a livello nazionale, potrebbe essere costretto a fare accordi con Berlusconi, oppure, come extrema ratio, potrebbe confluire nel nuovo soggetto centrista a cui vogliono dare vita Udc, Ncd e Tosi.
Il futuro è incerto. Berlusconi per il momento conta ancora, nonostante il tracollo nazionale di Forza Italia in questi anni. Il sindaco di Lecce, quindi, pur essendo della squadra dei Conservatori e Riformisti e fittiano da 30 anni, prova ad aprire un dialogo con Silvio Berlusconi, secondo le indiscrezioni che circolano in questi giorni. Anche se i fedelissimi di Perrone smentiscono queste voci, si dice che, prima attraverso Cattaneo, poi attraverso un avvocato salentino in grado di raggiungere Previti, il sindaco abbia tentato di aprire un dialogo con Berlusconi in vista delle prossime elezioni al Parlamento. Dunque, se Fitto non fosse in grado di garantirgli una postazione di rispetto, che lui ritiene di essersi meritata, Perrone potrebbe tentare la fuga in Forza Italia. Se non si dovesse trattare solo di «voci dei maligni», per Fitto sarebbe il colpo di grazia. Non sarebbe il primo fittiano doc ad andare via, visto che alleati storici, come i senatori Costa e Gallo, hanno abbandonato il leader di Maglie senza problemi.
LA LETTERA CHE AFFONDA I CONSERVATORI E RIFORMISTI
Eppure, a ferire il leone anglosassone ora ci sono anche le voci degli stessi fittiani, quelli che sono in Parlamento e che parlano di un progetto che sembra al tramonto già sul nascere. Le «riflessioni natalizie» di Maurizio Bianconi e Massimo Corsaro sono uno schiaffo in pieno volto per Raffaele Fitto: un fuoco amico che suona come una resa da parte di uomini che erano considerati colonne portanti di questo nuovo progetto. «Ad oltre un anno dal sorgere del nostro progetto politico, ci sentiamo di esprimere grande disagio ed insoddisfazione per un percorso che non è fin qui apparso in linea con quelle che erano le nostre attese, quanto a tempi, tattiche, strategia e target di riferimento» – spiegano i deputati. Le basi da cui è partito il movimento di Fitto sono due: essere alternativi alla sinistra e favorire la scelte dal basso, quindi le primarie.
Ma dopo aver fissato queste due linee guida, secondo i due parlamentari contestatori, «causa ritardi, timori, impedimenti personali, eventi esterni, vane ricerche di aggregazione e forse un po’ di imperdonabile pigrizia, poco o punto si è sviluppato di quel progetto». «La nostra azione, fortunatamente rimasta semi-clandestina agli occhi della grande comunicazione, si è consumata in sterili tentativi di intromissione nella geografia parlamentare, con tatticismi autoreferenziali; inconfessate nostalgie di una centralità nel palazzo; una puntigliosa ricerca di alterità verso ciò che abbiamo lasciato, che paradossalmente appare condizionarci più oggi di prima; la pervicace ricerca di costituzione del gruppo alla Camera, che ci ha distratti per otto mesi; l’assenza sistematica di coordinamento tra Camera e Senato; la ripetuta tecnica operativa dei colloqui separati; il privilegio dato anche a questioni minime, personali e territoriali; ed altro ancora».
Bianconi e Corsaro sono impietosi nel bollare questo inizio del movimento come un perseguimento di schemi appartenenti a una politica del passato, con gruppi che sembrano perseguire solo vantaggi personali: «Le camarille d’aula, la ricerca di intese con questo o quello, il vincolo novecentesco alle istanze di territorio, una certa tendenza al posizionamento in una ipotetica area di mezzo (che, peraltro, sembra contraddire le manifeste asserzioni di appartenenza al centrodestra). E tutto ciò ha totalmente assorbito le singole e scoordinate attività di ciascuno di noi». Secondo i due contestatori manca il gioco di squadra, una road map e, soprattutto si segnala un certo «attendismo» e la voglia di convergere al centro.
Il bilancio è negativo: «È mancato, completamente e colpevolmente, il racconto di quanto di nuovo avremmo dovuto rappresentare- spiegano nella lettera indirizzata ai colleghi del gruppo Conservatori e Riformisti – È mancata la comune determinazione nel sottolineare l’elemento di novità nella proposta di un movimento conservatore, di stampo occidentale, in una Terra da sempre narcotizzata da una cultura assistenzialista, massimamente espressa dal solidarismo cattolico e dal pauperismo della sinistra. Che poi – tra l’altro – queste due dannazioni che affliggono l’Italia hanno finito per intrecciarsi e fondersi, tanto da avere partiti di destra che perseguono una linea “stracciona”, mentre la sinistra ha ereditato e custodisce la rappresentanza di tutte le sovrastrutture che noi dovremmo combattere. Avremmo dovuto anteporre il disegno totalmente alternativo; la nostra vera indipendenza da chi ci ha preceduto; l’autonomia politica e personale di cui ci possiamo fregiare, rispetto ad interessi economici, finanziari, imprenditoriali o di categoria».
Anche l’incontro di Fitto con Cameron appare ai due deputati più una pubblicità per il leader italiano che l’inizio di un percorso di sviluppo delle idee anglosassoni in Italia: «Né basta, ai nostri fini, la pur lodevole costruzione di relazioni internazionali (il vero colpo di genio dell’operazione) che potrebbero sin qui apparire più improntate al riconoscimento di prestigi personali, piuttosto che stimolo per la riproduzione in salsa italiana di esperienze affermate e consolidate altrove». Per i fittiani delusi non si è parlato di idee concrete e di gradi ideali della destra liberale fino ad oggi.
«Ci siamo invece persi su argomenti di palazzo: abbiamo beatificato le primarie senza aver segnalato il perimetro culturale nell’ambito del quale celebrarle; abbiamo rivendicato in più occasioni una politica economica alternativa, rimandandone però i contenuti all’ammissione di qualche emendamento in Commissione lo scorso anno, quasi che davvero gli italiani sapessero di 3 cosa stiamo parlando; inoltre abbiamo rinviato – nonostante un lavoro propedeutico tempestivamente compiuto – la professionalizzazione di un sistema di comunicazione, di presenza sui “social”, di condivisione della strategia e di ricerca della miglior tattica per perseguirla».
I fittiani amareggiati spiegano che si è colto l’attimo: «Abbiamo perso del tempo, o forse – rovesciando i termini – ci siamo presentati troppo presto, rispetto la totale assenza di ogni struttura. Ed abbiamo fatto scorrere tempo sufficiente perché il pur timido interesse che avevamo suscitato si raffreddasse, mai risultando veramente e concretamente accattivanti agli occhi di intellettuali ed operatori dell’informazione che potessero aiutarci a veicolare la nostra novità».Poi i due parlamentari parlano del rischio di finire inghiottiti dai grandi, magari allontanandosi dal centrodestra a causa di pronunciamenti poco chiari.
«Nati per figurare un centrodestra che sapesse prescindere da Forza Italia (rectius, da Berlusconi), rischiamo di assistere da spettatori ad una rinnovata sintesi tra le vecchie anime della coalizione. E’ di questi giorni – ad esempio – la ventilata possibilità di presentazione di liste comuni alle prossime amministrative, nell’ottica di prefigurare uno scenario per le politiche del 2018 in cui il Cavaliere, Salvini e Meloni potrebbero affrontare insieme le insidie della nuova legge elettorale. Nostri pronunciamenti meno che chiari, in ordine al posizionamento del nostro soggetto, potrebbero estrometterci dalla casa naturale. La nostra missione dovrebbe essere quella di farci inseguire, per contenuti, qualità e ragionevolezza, da chi occupa la nostra stessa metà del campo; certo non può essere quella di volgere altrove, cercando riparo nella palude centrista. Non è per questo che abbiamo concordemente tagliato i ponti con il nostro passato recente e lontano, impegnandoci in una difficile nuova comune battaglia, per la quale ciascuno di noi – assai più di quanto non sia stato sin qui evidenziato – deve essere disposto a sacrificare parte del proprio patrimonio storico, di formazione e di appartenenza».
In questa lettera emerge chiaramente lo scenario già dipinto in questi mesi dal Corrieresalentino.it: Fitto cerca sulla scena nazionale un grande alleato per il suo movimento, ma rischia di dover scendere a patti con Berlusconi per le parlamentari, oppure di raccogliere l’abbraccio di Casini per confluire in un soggetto centrista che farebbe scappare via molti fittiani della prima ora.
Gaetano Gorgoni