TREPUZZI (Lecce) – Un amico di Trepuzzi avvicinato subito dopo la fuga da film per strappare un passaggio con destinazione Taranto. Alcuni minuti dopo la fuga dall’ospedale “Vito Fazzi”. E’ una certezza nelle mani degli investigatori che, per due mesi e tre giorni, hanno lavorato incessantemente per fare terra bruciata intorno a Fabio Perrone, evaso dal carcere di Lecce il 6 novembre scorso durante una visita medica al “Vito Fazzi”. Quel giorno stesso il 42enne di Trepuzzi non perse tempo. Attimi frenetici, concitati, stampati ormai nella memoria collettiva. La sparatoria tra i corridoi dell’ospedale, la fuga, la rapina di una Toyota Yaris ad una donna di Veglie nello spiazzo dell’ospedale. Poi di corsa verso il suo paese con un’idea ben precisa: spostarsi a Taranto. L’ergastolano raggiunse immediatamente Trepuzzi. Bussò a casa di un amico per chiedergli soldi e soprattutto un passaggio con destinazione il capoluogo jonico.
La persona avvicinata, però, non ebbe il coraggio di compiere un’autentica impresa in un giorno in cui i controlli sul territorio erano stati intensificati in ogni angolo del Salento ed estesi anche nelle province limitrofe. I posti di blocco erano praticamente ovunque e non sarebbe stato semplice seminare le forze dell’ordine. Perché Perrone voleva raggiungere proprio Taranto? Polizia e carabinieri battono due piste: l’ergastolano intendeva imbarcarsi su qualche nave dal porto del capoluogo jonico oppure, ipotesi più probabile, a Taranto Perrone poteva contare sugli appoggi giusti per trascorrere la sua latitanza. Il piano, però, non andò a buon fine. L’amico si rifiutò nonostante fosse al corrente che “Triglietta” era armato e con il colpo in canna inserito nella pistola sottratta all’agente della polizia penitenziaria.
La forza di intimidazione e di soggezione di Perrone, invece, è stata riscontrata in altre circostanze acquisite come certezze dalle forze dell’ordine. Nel corso delle indagini qualche fonte confidenziale ha volutamente riferito delle informazioni per depistare le ricerche. Agli investigatori sono arrivate numerosissime segnalazioni: anonime e confidenziali fornite da criminali della zona. Soffiate e imbeccate solo presunte. Anzi false. Più esattamente autentici depistaggi. I racconti, infatti, non solo non sono stati riscontrati ma sono stati riferiti agli investigatori per cercare di allontanare le forze dell’ordine da una delle piste che non è mai stata trascurata (quella che Perrone potesse nascondersi nella “sua” Trepuzzi) protetto da una fitta rete di fiancheggiatori. Insomma l’ergastolano incuteva timore. Nonostante non risulti inserito in qualche gruppo criminale la malavita ha cercato di proteggere la latitanza dell’evaso. Una paura accertata non solo tra i residenti del suo paese ma anche tra i personaggi della malavita attivi nel nord Salento che hanno cercato di allentare i controlli proprio nella zona in cui Perrone ha svernato la propria latitanza per oltre due mesi.
Francesco Oliva