F.Oli.
ARNESANO/MONTERONI (Lecce) – Vide il figlio morire davanti ai suoi occhi nonostante allerò per primo i soccorsi. Dopo la tragedia, il dolore e l’apertura di un fasicolo d’indagine il nome di Dario Raffaele Cosma, 44 anni, di Monteroni, compare tra i destinatari di un avviso di chiusa inchiesta per l’esplosione nell’azienda pirotecnica in contrada Palombara, ad Arnesano, dove la mattina del 9 novembre persero la vita il figlio, Gabriele Cosma, a soli 19 anni e l’operaio Giovanni Rizzo, 41 anni, di Carmiano. L’avviso, a firma del procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e del sostitituto Roberta Licci, è stato notificato anche a Gianluca e Andrea Cosma, (fratelli di Gianluca e zii di Gabriele), entrambi di 44 anni e residenti a Monteroni, soci e datori dell’impresa familiare. I tre rispondono di omicidio colposo plurimo in concorso in violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro.
L’incidente si verificò in una zona periferica dell’area di pertinenza della fabbrica dove era collocata una piccola tettoia e dove si effettuava l’asciugatura naturale dei semilavorati. L’esplosione, fortunatamente, non investì la fabbrica proprio perché si consumò in una zona aperta ai margini dell’area di produzione. Altrimenti il bilancio finale poteva essere ben più grave. Il giovane Cosma morì sul colpo; il cuore dell’operaio, invece, ricoverato d’urgenza presso l’ospedale “Perrino” di Brindisi, cessò di battere sette giorni dopo per la gravità delle ustioni di secondo e terzo grado riportate su tutto il corpo. D’altronde l’eplosione fu violentissima. Una densa nuvola di fumo si allungò in cielo visibile a distanza di chilometri. Anche dal capoluogo salentino.
I due lavoratori, al momento della tragedia, erano impegnati ad effettuare attività di lavorazione di produzione di polvere nera utilizzando il macchinario del tipo “mulino a biglie/sfere” (bottino) realizzato artigianalmente, azionato da un motore elettrico, collegato alla rete elettrica mediante una prolunga e installato in un ambiente adiacente. Un luogo di lavoro, secondo le conclusioni investigative, del tutto inidoneo rispetto ai requisiti stabiliti dalla legge. Probabilmente per autocombustione o per la presenza di fiamme libere (ipotizzano gli inquirenti) si verificò la deflagrazione del bottino che investì il figlio del titolare e un secondo operaio. Nonostante un sopralluogo effettuato alcune settimane dopo la tragedia sul luogo dell’incidente alla presenza di tre tecnici nominati dalla difesa, avrebbe escluso la presenza di elettricità nel casotto dove avvenne la deflagrazione, come dimostrerebbe il fatto che il salvavita del contatore non sarebbe scattato, escludendo l’ipotesi del corto circuito come causa dell’esplosione.
Per gli inquirenti, poi, i tre indagati avrebbero agito “per negligenza, imprudenza e imperizia, nonché in violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro”. L’attività lavorativa si sarebbe svolta in assenza di qualsivoglia autorizzazionene e l’attività di produzione di polvere pirica con una macchina di fattura artigianale nonostante la ditta Cosma fosse autorizzata esclusivamente al confezionamento e al deposito di fuochi artificiali di quarta categoria. I titolari della fabbrica non avrebbero valutato con il responsabile del servizio di prevenzione e con il medico competente gli eventuali rischi chimici. E non avrebbero informato i lavoratori dei pericoli legati all’uso di sostanze e miscele pericolose sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica. In più, sulla scorta del mancato ritrovamento di alcuna documentazione, le due vittime non sarebbero state adeguatatemente istruite con specifici corsi di formazione relativi alla salute e alla sicurezza sul posto di lavoro.
Fin qui il fronte delle accuse. Gli indagati, difesi dagli avvocati Massimo Bellini e Francesca Conte, avranno modo di poter chiarire la propria posizione chiedendo di essere interrogati o depositando memorie difensive prima che la Procura formalizzi la richiesta di rinvio a giudizio. I familiari delle due vittime, invece, sono assistiti dagli avvocati Giovanni Erroi e Luigi Rella.
Parallelamente all’inchiesta penale il Prefetto aveva disposto la revoca della licenza e la cessazione dell’attività per presunte responsabilità del titolare. A luglio, il Tar era tornato ad occuparsi della vicenda bacchettando per la seconda volta la Prefettura e giudicando non corretta la revoca della licenza di fabbricazione e vendita.
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