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La relatività dei titoli e la risposta di Teresa Bellanova: “Non la vivo come una frustrazione”

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di Gaetano Gorgoni

LECCE – Per anni i nostri docenti, in un sistema formativo che è un affare solo per chi lo governa, ci hanno spiegato che lauree e titoli erano indispensabili per potercela fare. Così ci siamo laureati, abbiamo preso i nostri master e le nostre specializzazioni. Poi, però, quando tanti iper-qualificati hanno cominciato a restare senza lavoro o a percepire stipendi da fame dopo decine di anni di studio, un’intera generazione ha cominciato a farsi delle domande. Perché i nostri genitori potevano fare i direttori di banca (e lo facevano bene!) con la terza media? Perché si poteva fare i professori con le scuole superiori e oggi non più? Perché si poteva lavorare come assistente giudiziario con la terza media e oggi non basta essere un avvocato per vincere questo concorso? Prima la super formazione la facevi una volta entrato a lavoro. Oggi fai lunghissimi percorsi formativi senza sapere se avrai mai quel lavoro per cui stai studiando. Perché l’OSS, il vecchio “portantino”, lo facevi pure con le scuole elementari e oggi (a giudicare dai test del concorso) devi essere quasi un medico? Forse la risposta è semplice: prima il lavoro lo imparavi sul campo ed era molto meglio di tanta teoria. I percorsi erano veloci: bisognava lavorare subito. Oggi ci si parcheggia nelle università per assenza di lavoro. I percorsi sono infiniti. Ma chiunque si può laureare, anche gli analfabeti funzionali. La verità è che poi i titoli che funzionano veramente sono quelli rilasciati da certe università collegate al mondo del lavoro (spesso costano decine di migliaia di euro), ma non per la formazione in sé che danno (certo, pure quella), bensì per il prezioso collegamento.

Ho visto gente laurearsi a suon di banali quiz nelle università private, ho visto gente laureata nelle statali che non riusciva ad azzeccare un congiuntivo. Insomma, i titoli non sono tutti uguali: alcuni valgono quanto la terza media della ministra Teresa Bellanova, che però ha dalla sua una grande esperienza sul campo. Conta molto, invece, al di là dei titoli, studiare, avere una cultura personale, aggiornarsi. “Per me non è un valore non avere un titolo di studio superiore, ma neppure la vivo come una frustrazione – spiega la neoministra dell’Agricoltura con un certo aplomb- Non l’ho mai nascosto che mi sono dovuta fermare alla terza media. Non ho potuto proseguire, sono andata a lavorare nei campi. Ma ai ragazzi che incontro, a mio figlio, dico: studiate, studiate, studiate. Non è per avere un pezzo di carta, ma perché più si sa, più si può”. La differenza è che la ministra, a cui si può contestare la resa alle riforme precarizzanti di Renzi dopo tante battaglie per i lavoratori, non era una figlia di papà e ha dovuto piegarsi dalla fatica nei campi giovanissima, prima di intraprendere una brillante carriera sindacale.

Dunque, il titolo di Teresa Bellanova è quello dell’Università della vita, in “scienze politiche, sindacali e lavorative”. È super-referenziata! Siamo noi a illuderci che i titoli siano una certezza assoluta. Forse perché alcuni, come me, hanno passato anni perdendo notti e sonno per laurearsi. A volte, qui nel Salento, i titoli devi appenderli in bagno o esibirli come traguardo fatuo agli amici, perché ti tocca lavorare in un call center dove lo stipendio è sicuro ogni mese. Poi, certo, ti può andare bene in un concorso perché sei riuscito a capire qual era il percorso giusto per acquisire più punteggio, ma non è per tutti! Devi quasi sempre avere delle buone amicizie sindacali. Con le scuole, le università a pagamento e le statali che hanno bisogno di non bocciare troppo per avere più punti, i titoli sono relativi. Chi non vale può avere gli stessi titoli di chi vale. La vera differenza la fa l’opportunità lavorativa che ti viene data: è un lavoro che ti farà crescere? Riesci a metterti in luce anche grazie alla tua intelligenza, capacità di problem solving e cultura personale? Qualcuno proponeva l’abolizione del valore legale dei titoli.

È un dispiacere per chi ha studiato una vita, ma l’approccio non è sbagliato. Certo, in alcune professioni bisogna qualificarsi, studiare, ma il giusto! Fanno ridere i corsi per diventare pizzaiolo. Un’arte che si apprende attraverso un buon maestro mentre si lavora. Amareggia il business di certi concorsi (in cui i titoli che hai diventano relativi, perché più gente partecipa e più soldi si fanno): libri, hotel e tasse per partecipare. La verità è che con una buona scuola e, tutt’al più, con 4 anni di università (senza aggiungere esami farlocchi, che servono a sistemare poltrone) si è già pronti per qualsiasi lavoro. Master, formazione e altro dovrebbero essere fatti durante il percorso lavorativo. Ma questo non conviene ai potenti del business della formazione: quindi via libera ai “parcheggi formativi”, all’illusione che il titolo sia un punto d’arrivo e che faccia davvero la differenza. La differenza la fanno solo le persone e le loro capacità.

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