LECCE – Urla, panico e tanto terrore. L’ospedale “Vito Fazzi” come un set cinematografico di un film pulp. Tra i medici, gli infermieri e i pazienti gli occhi trasudano ancora paura e tensione dopo quei tremendi istanti.
Stati d’animo palpabili sui volti di chi era presente al terzo piano del “Fazzi” in quei concitati minuti. La fuga di un ergastolano poteva finire con una strage. Solo per una sorte benevola non sono finiti altri innocenti sulla traiettoria di quei colpi di pistola sparati all’mpazzata. “Ci trovavamo in corridoio”, commenta un medico “quando abbiamo notato un detenuto”. “Sembrava zoppo per come camminava. Ma non abbiamo dato molto peso a quella persona. Ne vediamo tanti ogni giorno”. Il racconto del medico si fa sempre più incalzante, concitato. “Poi è entrato in una sala quando è uscita una persona gridando di scappare. Abbiamo visto il detenuto che ha iniziato a sparare all’impazzata. Un vigilante è caduto per terra e non abbiamo capito più nulla”.
“Questo detenuto è uscito dall’ascensore per raggiungere la sala di endoscopia scortato dai due poliziotti”, racconta una testimone. La voce è tesa, l’adrenalina è ancora tanta e il ricordo vivo e nitido. “Improvvisamente abbiamo sentito un rumore di tavoli e di sedie che venivano spostati. Ci siamo chiesti cosa stesse accadendo quando di fronte a noi si è materializzato un uomo che usciva con una pistola in pugno. Abbiamo iniziato a scappare e a correre”. “Abbiamo sentito tre spari” commenta un altro dottore. “Poi ho visto un poliziotto inseguire il detenuto che scappava velocemente”. Le ricostruzioni sono sempre le stesse accomunate da un senso di paura e di impotenza per un’azione così efferata, rapida e inattesa. “Un mio collega mi ha detto di abbassarmi”, precisa un medico. “Venivo da un altro corridoio quando ho sentito tre spari. Nitidi e in rapida successione. Mi sono rintanata in ascensore attendendo che quei colpi di pistola si fermassero. Ancora non credo a cosa sia potuto succedere”.
Il panico è stato generale. Tra i corridoi si respira ancora forte la tensione: “Io mi sono nascosta dietro la macchinetta del caffè, altra gente si è rintanata nell’ascensore, chi nel reparto perché quell’uomo ha iniziato a sparare. Mio padre è scappato e l’hanno ferito”, racconta un’altra voce diretta. C’è chi, magari sull’onda emotiva per quanto accaduto, bolla il grave fatto di sangue come l’ennesimo campanello d’allarme sull’emergenza sicurezza in ospedale: “E’ inconcepibile che possano avvenire simili episodi”, commenta un dottore. “Non solo dobbiamo arginare il malcontento di un’utenza sempre pronta a scagliarsi contro figure professionali ma ora rischiamo anche la vita in un luogo che dovrebbe essere vigilato costantemente 24 ore su 24 ore”. Intanto seppur lentamente medici e infermieri ritornano alle proprie mansioni. La strage sfiorata diventa solo un ricordo. Per quanto brutto da rimuovere velocemente per chi lotta ogni giorno con emergenze di ben altra natura.
Francesco Oliva